Economia

Big tech, le banche e pure Trump. Come fare soldi con le stablecoin


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Buona lettura,

Walter Galbiati, vicedirettore di Repubblica

Ad attirare l’attenzione è stato senza dubbio Trump, quando a marzo di quest’anno ha lanciato la sua stablecoin Usd1 attraverso la società World Liberty Financial, controllata da lui e Steven Witkoff, che, fra le altre cose, in pieno conflitto di interesse come il suo socio, è anche l’inviato speciale del presidente in Medio Oriente.

La corsa alla valuta. I colossi bancari le stanno iniziando a guardare con sempre più interesse, ma anche i grandi gruppi, a partire dalle Big Tech, stanno facendo un pensiero sulle stablecoin.

La stabilità. Sono chiamate così, “stabili”, perché a differenza delle criptovalute il loro valore non è volatile, perché garantito da un asset sottostante spesso nel rapporto di uno a uno. Se si tratta del dollaro, una stablecoin equivale a un dollaro.

Amazon, ma anche il re dei supermercati Usa Walmart e Uber, stanno fiutando il business, mentre alcuni grandi operatori finanziari attivi nei pagamenti, come PayPal, sono già scesi in campo con la propria valuta.

Il debutto di Circle. A rialzare il velo sul business delle stablecoin è stata a inizio giugno la quotazione di Circle, il gruppo statunitense che ha creato USDC, la seconda stablecoin per capitalizzazione (60 miliardi) dietro alla leader indiscussa, Tether, lanciata dall’italiano Giancarlo Devasini e guidata dall’altro italiano Paolo Ardoino, che supera i 150 miliardi di dollari.

Il boom in Borsa. Entrata a Wall Street a 30 dollari poco più di un mese fa con una capitalizzazione complessiva intorno ai 9 miliardi, ha chiuso ieri sopra i 200 dollari, dopo aver toccato nelle sedute precedenti un picco di quasi 300 dollari. Un salto pari a dieci volte il valore dell’ Ipo fatto quando a metà giugno il Senato Usa ha approvato il Genius Act, (Guiding and Establishing National Innovation for US Stablecoins Act) la legge che si propone di regolare le stablecoin, ora in discussione alla Camera.

Il meccanismo è molto semplice. Chi emette stablecoin raccoglie denaro e lo mette a riserva per essere sicuro di avere la liquidità da restituire quando il compratore chiede di rivendere la propria moneta virtuale. E queste riserve rendono.

Come fa Tether. Tether, per esempio, ha raccolto 150 miliardi con la sua valuta digitale, l’81,5% dei quali, secondo un prospetto pubblicato dalla stessa società, sono stati investiti in liquidità o titoli equivalenti: circa 100 miliardi sono Treasury americani, gli altri pronti contro termine.

Quanto guadagna Tether. Questo portafoglio, insieme ai Repo, ha garantito a Tether un ritorno di 7 miliardi di dollari per il 2024 che sommati a 5 miliardi di utili non realizzati sui Bitcoin e sull’oro custoditi in cassaforte, più un miliardo generato da altri investimenti, ha portato il risultato netto di Tether a 13 miliardi di dollari, più dell’utile dei due più grandi istituti di credito italiani, Banca Intesa (8,7 miliardi) e Unicredit (9,3 miliardi).

Come fa Circle. Circle, invece, con 60 miliardi di asset ha incassato 1,7 miliardi dalle sue riserve, generando un utile di 155,7 milioni contro i 64,8 milioni del 2023.

Perché guadagna meno? Si tratta di un rendimento minore non solo per le minori masse gestite, ma anche perché Circle a differenza di Tether che opera da El Salvador, quindi senza nessun vincolo, ha deciso di aderire alle normative Usa (il Genius Act) e a quelle europee (il Micar).

I vincoli. Queste ultime, per esempio, impongono a operatori rilevanti di mettere in depositi bancari liquidi almeno il 60% delle proprie riserve a garanzia dei sottoscrittori. Ed è chiaro che la liquidità sui conti correnti genera meno rendimento, se non nullo, rispetto a un investimento in titoli di Stato americani, che benché considerati sicuri (Tether investe per lo più in titoli a tre mesi) sono comunque soggetti a variazioni di valore.

Chi fiuta gli affari. Di fronte ai risultati di Tether e di Circle, i grandi gruppi come Amazon si sono fatti ingolosire da quanto potrebbero incassare con il loro giro di affari: nel 2024 il gruppo di Bezos ha generato ricavi per 640 miliardi di dollari e il valore dell’e-commerce negli Stati Uniti è di 1.100 miliardi di dollari.

L’Amazoncoin. Creare una valuta digitale potrebbe permettere ad Amazon di veicolare una parte dei soldi che girano sulla propria piattaforma come riserve su cui lucrare buoni interessi, proprio come Tether e Circle.

Il divieto del Genius Act. Tuttavia anche il presidente Trump ha fiutato l’affare per sé (Usd1 ha raccolto capitali per 2,2 miliardi) e per lo Stato facendo comprare Treasury come garanzie per le stablecoin.

Ma per evitare che le Big Tech possano sfruttare la loro posizione dominante in molti settori, ha fatto inserire nel Genius Act il divieto per il momento che le grandi aziende tecnologiche possano emettere direttamente valute virtuali.

Un altro beneficio. Oltre che per far soldi, le stablecoin potrebbero servire anche a risparmiare costi, abbattendo le commissioni sulle transazioni che pagano le aziende e i consumatori.

In Europa, Mastercard applica tariffe tra lo 0,2 e lo 0,3% del valore della transazione, mentre negli Stati Uniti arriva all’1,5 a al 2%.

Con Tether i costi sono ben più contenuti. Le commissioni per inviare un pagamento vanno da frazioni di centesimi a un paio di dollari al massimo per transazione.

Chi fiuta il pericolo. Se qualcuno vede l’affare, altri sentono il pericolo. Una delle prime società a capire che le stablecoin avrebbero potuto intaccare il business dei pagamenti è stata proprio Mastercard, che, attraverso la collaborazione con un alcuni player del settore, ha già incluso le transazioni in stablecoin tra le sue opzioni.

PayPal si è mossa in proprio ed è andata oltre, lanciando una sua stablecoin il cui valore in circolazione è oggi di poco superiore agli 870 milioni di dollari.

Chi fiuta il pericolo bis. Ma il pericolo lo hanno visto anche le grandi banche, perché le società che emettono stablecoin di fatto offrono anche una alternativa ai depositi.

La frase. “Se le persone utilizzano le stablecoin come conto transazionale, dobbiamo essere pronti a mantenere tali depositi transazionali all’interno della nostra rete… altrimenti assisteremo a una migrazione massiccia dei depositi al di fuori del settore”.

Bofa, Citi e Jp Morgan. Sono le parole d’allarme lanciate dall’amministratore delegato di Bank of America, Brian Moynihan, che insieme a Citi e Jp Morgan sta valutando di lanciare una stablecoin congiunta.

Il futuro. Il tema vero, però, al di là della corsa ai soldi e dei fantasmagorici numeri del mercato delle stablecoin ventilato dagli advisor della quotazione di Circle (per Goldman in pochi anni si passerà dagli attuali 250 miliardi a 1.000 miliardi di stablecoin in circolazione) è se veramente sono 1) validi sostitute degli attuali sistemi di pagamento e 2) dei depositi bancari.

Un punto a favore. Innanzitutto, per essere un mezzo di pagamento, la valuta deve avere un valore costante. E si può dire che le stablecoin lo tendono ad avere. Le quotazioni di Tether sul dollaro oscillano sempre intorno alla parità.

I terreni di gioco. Fino ad oggi sono state usate per tre tipi di pagamento: 1) per comprare e vendere cripto-attività (quasi l’80% delle transazioni), 2) per i pagamenti transfrontalieri e da qualche tempo anche 3) nei mercati emergenti, dove a fronte di una forte oscillazione del valore della valuta locale, si cerca una moneta stabile e di fatto un ponte per arrivare al dollaro.

La sfida più probabile. Di questi, il settore che più si presta a candidare le stablecoin come alternative temibili ai normali pagamenti sono le transazioni transnazionali. Per due motivi: 1) perché annulla i rischi di cambio e 2) perché quando viaggia su piattaforme senza regole come Tether non deve sottostare a nessun controllo, fiscale o di antiriciclaggio.

La sfida più difficile. Più impervia la strada che dovrebbe portare le stablecoin a essere concorrenti dei conti deposito, almeno nei mercati regolati come in Europa. Perché qui le authority hanno messo i paletti.

I divieti. Il Micar, infatti, vieta alle società che gestiscono le valute virtuali di corrispondere interessi. E lo stesso vale per il Genius Act. Ma alla fine nulla vieta che nasca un conto in stablecoin remunerato laddove queste regole non esistono. Come in El Salvador di Tether.


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