Lazio

Bene la Lazio, male Lotito e i tifosi

Una bella Lazio, una vittoria convincente, la conferma della crescita di giocatori che consideravamo andati – leggi Bašić- , la grinta ritrovata di chi sembrava averla persa – leggi Guendouzi -, la determinazione di chi non sempre sembra averla – leggi Noslin – le conferme delle due ali Zaccagni e Isaksen.

Un idillio?

No, assolutamente no: Sarri sta compiendo il miracolo di far veleggiare la squadra in acque interessanti – leggi con vista zona Europa – considerando le pesantissime assenze. Ma i conti si fanno alla fine: dovremmo averlo imparato già dalla scorsa stagione.

La Lazio di oggi fa punti – neanche sempre agevolmente – con le squadre inferiori sulla carta, soprattutto in casa, ma con le big la distanza sembra siderale: come già detto, in tutta onestà, il pareggio a Bergamo è stato da veri miracolati, la vittoria con la Juve è avvenuta nel momento di massima crisi dell’avventura di Tudor.

Incidenti di percorso, di cui qualche squadra di livello inferiore può avvantaggiarsi, soprattutto nel girone di andata. Il punto è proprio questo: le squadre che hanno rose più ampie e più rifornite, potranno via via recuperare posizioni, e magari tornare anche sul mercato per rinforzarsi ulteriormente. Questa Lazio, invece, in assenza di un calciomercato di riparazione ha un margine di crescita basso, legato esclusivamente al completo recupero degli assenti. Per converso, qualora gli fosse consentito di partecipare al mercato di gennaio, le condizioni sono tali che per poter acquistare in modo efficace pedine funzionali al gioco di Sarri, è probabile che si debba cedere qualche pedina importante, cosicché il vantaggio degli acquisti rischia di essere assorbito dalle perdite necessarie.

I conti, quindi si fanno alla fine. Vedremo

Se poi la prospettiva si allarga, in assenza di interventi davvero rivoluzionari, di cambiamento radicale e profondo, il rischio è che stagioni meste come quella attuale diventeranno la normalità, la normalità di una squadra di medio rango, con tutto ciò che questo significherebbe sul suo prestigio e il suo blasone.

Prestigio e blasone ancora una volta erosi dal “senator Pennichella”, in arte Lotito, che non ne azzecca una, nemmeno per sbaglio.

Davanti allo sciopero dei tifosi che hanno tenuto l’Olimpico di ieri vuoto per tre quarti, non ha resistito a intervenire, per sancire una volta di più la distanza ormai irriducibile tra Società e ambiente – termine più inclusivo del solo tifo organizzato.

Questa comunicazione “da piazza” che Lotito continua a adottare senza pensare attentamente ai riflessi che ciò comporta rispetto a tutta la comunità calcistica e non solo, appare sempre di più il segnale di una profonda debolezza: davanti alla conclamata diminutio di questa realtà del calcio italiano, lui rinuncia a un confronto serio, a una riflessione sul fatto che le sue risorse economiche, organizzative e relazionali non sono adeguate a una squadra almeno di rango europeo.

A nulle serve cercare la sponda di certa stampa asservita – che lo serve oggi che sta al governo e lo disprezzerà domani – o sfruttare certi buchi: sembra uno di quei vietcong che continua a combattere, nella foresta pluviale una sua battaglia solitaria, già ampiamente persa, sperando che questo gli consenta un’uscita dignitosa, ma non sa che il suo atteggiamento e le sue parole sono il lubrificante che agevola la sua discesa nel collo dell’imbuto.

I tifosi, invece cadono nella sua trappola: usare strumentalmente la vicenda di Giulia Paparelli a cui la società Lazio non ha consentito l’accesso al campo accompagnata da quattro tifosi, rischia di diventare un boomerang che Lotito non ha tardato a rimandare indietro contro chi l’aveva lanciato.

Lotito non cerca dialogo ma conflitto, delegittimando ogni ruolo dei tifosi che non sia quello di tifare e loro dovrebbero protestare per quello, senza infingimenti o usando fatti in modo sbagliato: se i tifosi sono giustamente incazzati con Lotito e tutta la società Lazio, lo dicessero e sulla base di ciò costruissero un consenso sul dissenso, altrimenti il messaggio non è chiaro, è ambiguo, gli si affidano diversi significati e alla fine risulta depotenziato, perché non univoco nei presupposti e negli obiettivi.

Finché ci saranno tanti abbonati allo stadio, Lotito non corre nessun rischio: forse è su questo che dovremmo cominciare a ragionare.

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