Bcg: l’innovazione è la chiave per resistere agli shock globali
L’innovazione resta la leva che fa la differenza in tempi di incertezza economica e geopolitica. A confermarlo è la nuova edizione dello studio annuale Most Innovative Companies di Boston Consulting Group (Bcg), dal titolo eloquente: In Disruptive Times, the Resilient Win.
Il messaggio è chiaro: dal 2005 i “campioni dell’innovazione” hanno registrato un vantaggio medio di 2,4 punti percentuali annui in termini di “total shareholder return” rispetto al mercato globale. Durante la grande recessione il gap è salito a 14 punti, arrivando addirittura a 24 nel primo anno della pandemia.
Eppure, la capacità delle imprese di restare innovative sembra in calo. Tra il 2021 e il 2024, la quota di dirigenti convinti di operare in aziende davvero innovative è crollata di 24 punti percentuali. Ancora più allarmante il dato del benchmark Bcg Innovation to Impact: nel 2021 il 20% delle imprese era pronto a tradurre ambizioni in risultati, nel 2024 la percentuale è scesa a un misero 3%.
Il ranking delle 50 aziende più innovative al mondo è diventato sempre più competitivo e fluido. Solo il 14% delle imprese comparse dal 2005 al 2023 è riuscito a ottenere lo status di serial innovator (almeno 10 presenze) e appena il 3% si è confermato ogni anno.

La mappa geografica è cambiata radicalmente. La Cina, assente nel 2005, nel 2023 conta otto aziende tra le prime 50, pari al 16% del totale, con due nella top 10. Dal 2009 a oggi tredici imprese cinesi hanno fatto il loro ingresso, con Huawei unico serial innovator ma con un consolidamento sempre più evidente.
Il Nord America, pur scendendo da tre quarti delle posizioni nel 2007 a circa la metà nel 2023, mantiene il primato per continuità: due terzi delle aziende statunitensi classificate sono serial innovator. Non mancano i casi emblematici: Walmart, che durante la crisi del 2009 ha riformulato prodotti e packaging incrementando le vendite del 3,2%, o Pfizer, che con l’acquisizione di Wyeth nello stesso anno ha accelerato la trasformazione in colosso biopharma.
L’Europa conserva un ruolo importante, con il 31% delle aziende entrate in classifica negli ultimi vent’anni. Ma la sua presenza è più frammentata: il 36% delle imprese è comparso una sola volta, percentuale record a livello globale. Zara (Spagna) rappresenta un esempio virtuoso: nel 2021 ha registrato un +77% nelle vendite online grazie a una supply chain flessibile e ha persino messo a disposizione la propria logistica per distribuire forniture mediche nei primi mesi della pandemia. Tra i pochi serial innovator europei spiccano Bmw, Daimler, Siemens (Germania) e Philips (Olanda).

Il divario tecnologico resta evidente: solo il 9% delle aziende europee classificate opera nell’hardware o nel software, contro il 18% nordamericano e il 31% cinese. E la scalata alla top 10 è stata un’impresa rara: appena il 4% delle imprese europee ce l’ha fatta.
Un fattore trasversale emerge con forza: la maturità digitale. Le aziende presenti da più di un decennio parlano di innovazione digitale nelle earnings call quasi quattro volte più della media. E nel 2024 oltre l’80% degli investimenti di venture capital si è riversato su intelligenza artificiale e GenAI. Non sorprende che Microsoft, grazie agli agenti AI che generano già il 30% del codice, si trovi in posizione privilegiata. O che Nintendo, in Giappone, abbia rinnovato il proprio modello di business introducendo AI per grafica e riconoscimento facciale nelle console.
Per affrontare i prossimi anni, Bcg individua quattro priorità: ridefinire l’ambizione innovativa in base ai nuovi mercati; ribilanciare il portafoglio progetti; ripensare la gestione dei talenti in un mondo frammentato; e rivedere la geografia dei centri di innovazione, puntando su aree a maggiore potenziale di crescita.
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