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Bayrou premier, ma in Francia è caos


Bayrou premier, ma in Francia è caos

Da ieri la Francia ha un nuovo premier. Ma non ha ancora un governo. Serviranno dunque altri giorni per dichiarare chiusa la crisi d’Oltralpe. Non a caso François Bayrou, nel passaggio di consegne con il predecessore Barnier, ieri ha ammesso: «Abbiamo di fronte un Himalaya di difficoltà e non farò finta di non vederlo, a partire da quello del deficit». La sfida è quella della «riconciliazione» nazionale. Ma i partiti litigano ancora fra loro, alcuni perfino in casa sul da farsi di fronte alla nuova opzione centrista messa in campo da Macron: 73 anni, sei figli, una moglie Elisabeth e una quindicina di nipoti, Bayrou è stato infatti nominato dal presidente al termine di una girandola di incontri. E di forzature.

Alla fine il mite democristiano ha prevalso nei confronti dell’Eliseo. Scegli, avrebbe detto Bayrou al capo dello Stato che sostiene lealmente dal 2017: o mi nomini premier, oppure non avrai più l’appoggio della mia pattuglia parlamentare per le tue operazioni politiche di esclusione dell’estrema sinistra e della destra lepenista dal potere. Operazione parzialmente riuscita. Ma con esito incerto: neogollisti alla finestra e macroniani freddini sul sostegno effettivo. Forse non è l’uomo della provvidenza, Bayrou. Ieri si è presentato ricordando le origini modeste, provando a riconnettere i francesi al potere politico in un periodo in cui tutti i sondaggi vedevano meglio un tecnico a Matignon. E con la sola certezza che lunedì dovrà promulgare la legge speciale per evitare lo «shutdown» alla Francia: in attesa di riscrivere la manovra, discuterla in Parlamento. Si procede con una sorta di copia e incolla. E poi? «La tentazione è di prendere uno o due dossier e lavorare su quelli con mediocrità, non farò questo», l’unico programma emerso nel passaggio di consegne accanto allo sfiduciato Barnier durato solo tre mesi. Bayrou ieri non ha promesso nulla. I sindacati già sollecitano un incontro col neo premier, il quale non sa ancora quale sarà la maggioranza che lo sosterrà, ma solo che Macron gliel’ha apparecchiata. Con la gauche, ci sarebbe la non sfiducia già concordata: a patto, dicono socialisti, verdi e comunisti, che il premier non adoperi forzature parlamentari come l’articolo 49,3 della costituzione (quello con cui Macron ha autorizzato il via alla contestata riforma delle pensioni). E comunque il Ps resta formalmente all’opposizione. Bayrou prova a scalare l’Himalaya con l’aiuto del suo Enrico IV, al quale ha dedicato libri e studi, e che ieri ha citato per dare un segno di netta discontinuità con gli anni di Macron. Ha in testa di «riconciliare i francesi» come fece 500 fa il citato sovrano. Ma per arrivare a Matignon ha sfidato l’odierno capo dello Stato. Alle 8 era entrato dal portone principale dell’Eliseo, ma la notte aveva persuaso Macron a nominare qualcun altro al suo posto: Roland Lescure, ex ministro dell’Industria, socialista diventato macroniano, o Sébastien Lecornu, ministro della Difesa uscente, macroniano non ostile alla destra.

A nomina avvenuta, sono iniziati i posizionamenti. Il fronte popolare della gauche si è spaccato, visto che soltanto l’ala estrema della sinistra, i mélenchoniani, ha annunciato la volontà di sfiduciarlo. Stando così le cose, non ci sarebbero più i numeri.

Marine Le Pen prepara linee rosse, ma senza rinunciare all’ipotesi sfiducia, parlando di rischio di continuazione del progetto macroniano nonostante i buoni rapporti personali tra lei e Bayrou; per non parlare delle comuni noie giudiziarie per i rimborsi europei, per cui lei rischia l’ineleggibilità. Curiosamente, nessuno ieri, tra i partiti, ha sollevato questo argomento come freno a Bayrou. Forse perché quasi tutti i partiti sul tema hanno ferite aperte.


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