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Basta non avere più un ristorante di fine dining per sparare a zero sulla 50 Best Restaurants e il suo ambiente?

In uno sfogo sui social, lo chef Marcello Trentini se la prende col mondo del fine dining, ispirato dalla 50 Best presentata a Torino.

Basta non avere più un ristorante di fine dining per sparare a zero sulla 50 Best Restaurants e il suo ambiente?

Il cosiddetto fine dining è in crisi conclamata, ormai si sa. L’economia del ristorante “prototipo” dello stellato Michelin è sempre meno sostenibile, i clienti scarseggiano, i conti sono sempre più alti e chef e ristoratori devono, per forza di cose, inventarsi qualcosa.

Finora, il concetto e l’approccio comunicativo più gettonato è stato quella “decrescita felice”, in cui si racconta della volontà di abbandonarsi a una ristorazione più soft, in linea con l’equilibrio vita/lavoro, proponendo piatti più semplici e tradizionali e, a volte, con prezzi più abbordabili.

Oppure si può essere meno diplomatici e, una volta mollata la scena gastrofighetta, mandare tutti a quel paese: è il caso di un Marcello Trentini dal dente decisamente avvelenato.

Lo sfogo del “mago”

marcello trentini, magorabin

Forse non è un caso che questo sfogo arrivi proprio da Torino, città che da un lato ha registrato diverse chiusure eccellenti nell’ultimo periodo e dall’altro si è trovata ad ospitare il gotha gourmet mondiale per l’edizione 2025 della The World’s 50 Best Restaurants.

Una dicotomia che all’ex patron di Magorabin proprio non è andata giù, e gli ha ispirato un post al vetriolo: da parte sua, l’esperienza non gli manca, con un percorso di cucina di ricerca che l’ha portato alla stella Michelin, prima del “gran rifiuto” dell’inizio di quest’anno.

Magorabin ha chiuso, e ora si esprime in una cucina che lui stesso definisce “brutalista”, fatto di cotture ancestrali e totale assenza di sovrastrutture, nelle cucine di Brace Pura, sempre a Torino: come dicevamo, Trentini non le manda a dire, e non si risparmia un linguaggio, diciamo così, colorito.

“Mai stato così felice di aver mandato affa****o il cosiddetto “fine dining” .. dopo la kermesse 50 best a Torino ho visto il peggio del peggio del mondo food oggi.
Cuochi in overdose di egocentrismo e autoreferenzialita’
Gente che non parla neanche italiano che si bea di un momento triste di visibilità in cambio di un finger food pagato da una multinazionale
Dinosauri obesi della critica gastronomica che salgono sul carrozzone (qualunque sia il vincitore)
Premi ridicoli
Ristoranti che puoi frequentare solo se sei milionario (guardati i prezzi di maido che per la cronaca sta a Lima dove si vive con 50€al mese) giornalisti e blogger supini a leccare culi che manco in una ga****ng gay”.

Non è finita: “Ma .. ode alle trattorie contemporanee.. (Dove mangiano tutti che lo dice Ferran) perché i cuochi fighi fanno cucina figa ma mangiano pane e salame (con acidità) State male.. fatevi vedere da uno bravo Ma bravo vero!”

Al netto della discutibile modalità espressiva, non gli si può dare nemmeno tutti i torti: un evento del genere non può che mettere in evidenza molte delle storture del mondo del food, non ultime l’eccesso autoreferenzialità e il parlare quasi esclusivamente ad un pubblico che può permettersi di volare in Perù per una cena.

Tralasciando le invettive più pecorecce, qualcosa stride comunque: immaginando che tutta questa acredine non sia stata accumulata solo nel weekend della premiazione, ad essere maliziosi si potrebbe pensare che certi giudizi se li sia risparmiati finché del “carrozzone” era ancora parte.

Molto da capire anche sulle invettive riguardo “trattorie contemporanee”, che se il fine dining non va (più) bene, bisogna capire che male gli hanno fatto: forse gli chef avanguardisti nei loro ristoranti devono essere sempre altrettanto arditi anche quando escono la sera a mangiare? O la stampa internazionale di riversarsi in massa da Scannabue avrebbe forse dovuto scoprire la cucina brutalista alla brace?

Apprezziamo sempre le voci fuori dal coro, ma se a pensare “rosicare” si fa peccato, spesso ci si indovina.


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