«Basta cercare alibi, voglio fare la guerra». Il tempo dei grandi e pochi è finito
Visionario, illuminista, irrefrenabile. In sintesi: Francesco Casoli. Il leader delle cappe aspiranti, tecnologia&design, sull’ennesima vertenza occupazionale che travolge le Marche, i turchi di Beko, ex Whirpool, a sua volta ex Indesit, che prennunciano centinaia di tagli, va di effetti speciali: «Voglio fare la guerra».
Non le pare di esagerare? Il mondo è già abbastanza dilaniato dai conflitti.
«Non mi arrendo, voglio combattere».
Provi a contenere la rabbia. Fissiamo il tema: ti comprano, ti spolpano, ti mollano. Siamo preda delle multinazionali?
«Ristabiliamo l’ordine. Dietro la forza di Vittorio Merloni e della sua Indesit – che negli anni Novanta con gli elettrodomestici conquistava i mercati internazionali – c’erano le sue segretarie, gli impiegati, i funzionari, i dirigenti, tutti coloro che portavano i suoi prodotti nel mondo».
Privilegia il pensiero illuministico, che pone l’uomo al centro?
«La qualità delle persone, è questo il valore aggiunto di una impresa. Se non riusciamo a capire come vendere queste competenze, continueremo a perdere pezzi».
Come sta accadendo nella sua città, la Fabriano delle origini ed epicentro del suo brand.
«Si è assopita dopo decenni di cassa integrazione per una azienda che, fuori tempo massimo, era contoterzista. Mi riferisco alla Antonio Merloni, il primo tassello del mosaico della dinastia del bianco a staccarsi dall’insieme».
Ricapitolando?
«Non c’è più lo slancio».
A chi attribuisce la responsabilità di questa perdita di vigore?
«Vorrei procedere al contrario, sostituendo all’ipotesi e alla tesi del teorema diretto le rispettive negazioni».
Proceda.
«Basta con il puntare il dito contro la politica. La colpa è nostra, è mia».
Drastico.
«No, lucido. La Beko fa il proprio mestiere, siamo noi che non facciamo la nostra parte, rendendoci attrattivi come territorio. Si è persa la voglia di competere. Vorrei ricordare che il primo stabilimento chiuso dalla società turca, di proprietà del gruppo Arçelik, è stato quello polacco, per rimarcare il fatto che il costo del lavoro non ha inciso sulle scelte. Sfatato anche questo alibi».
Dove vuole arrivare?
«Dobbiamo reinventarci. Mi sono battuto per l’arrivo a Jesi di Amazon, il colosso statunitense dell’ecommerce, per dimostrare che possiamo essere un richiamo. Il neo presidente di Confindustria Ancona, Diego Mingarelli, ha creato una filiera a Sassoferrato, quella della bioedilizia. Ora tutti i grandi architetti internazionali cercano le sue vernici fonoassorbenti al sughero. Questi sono gli esempi per farcela. Non mi arrendo, voglio combattere».
Che fa, insiste?
«Ho sulla scrivania, da sempre, un libro che si intitola “Marketing è guerra”: purtroppo, volenti o nolenti, è così. E vale anche per i territori».
Ovvero?
«C’è battaglia, oggi, per attrarre investimenti e talenti. Noi, a Fabriano, ne avevamo di super, purtroppo stanno invecchiando e le nuove generazioni hanno perso il gusto della sfida. Dobbiamo tornare a voler vincere come singoli, come collettività».
La sua formula?
«Prendere coscienza che il lavoro non lo farà qualcun altro per noi. Dobbiamo creare tanti piccoli imprenditori, perché il tempo dei pochi e grandi non tornerà mai più».