Cultura

bar italia – Some Like It Hot

Non c’era bisogno di scomodare ricordi lussuriosi di Marylin Monroe per ribadire che i bar italia continuano ad essere una delle band più eccitanti del momento, qualcosa di veramente caldo da maneggiare, per chi ancora voglia essere contaminato da una musica incendiaria che il trio di base londinese riesce, nel suo terzo fatidico difficile album, a trasmettere nuovamente.

Credit: Steve Gullick

Certo, il desiderio evidente dei nostri giovani movers in questo “Some like it hot” è quello anche di provare ad essere più maturi, di uscire dal meraviglioso e super protetto scantinato indie di origine, per cercare una dimensione autoriale più completa, e se questo a tratti nell’album riesce, di sicuro si avverte una coperta, specialmente a livello produttivo, di maggior sintesi, come se i suoni fossero più aperti e diretti, quasi a voler abbracciare un’ipotetica versione live per privilegiare l’immediatezza, come se la band avesse anche voglia di migliorare il proprio standing, di essere quindi maggiormente riconoscibile, in meno tempo.

La materia incandescente quindi dei brani serve a rivendicare il posto fra le cool things migliori partorite dall’alternative rock in questo decennio e ci sta, bar italia rimangono imbattibili quando i ritmi si compattano (“I make my own dust”, “rooster” “Cowbella”), dove in pochi minuti si racchiudono urgenza post grunge, sudore anni 70 Stones e rumore di tutto il repertorio Sonic Youth fino a “Sonic Nurse”, con la peculiarità dell’interscambio delle voci esaltate dalla sensualità di Nina Cristante, perfetta in questa modalità centrale in quasi ogni brano, sentite come riesce ad esaltare una esile struttura come la finale titletrack. Difficile veramente resistere quando la band alza il tiro, ci immergono in quello splendido immaginario da retrobottega del nostro bisogno musicale che l’indie rock ci ha fatto scoprire , quindi come dire, si viene, colti nell’intimo.

Altrove, nell’album nel tentativo di completamento di generi, che come nel marketing di prodotto, fa perdere l’efficacia del messaggio, escono canzoni che scivolano via (“bad repiutation”, “Eyepatch”), a volte invece escono delle canzoni già molto buone, che potrebbero segnare una possibile versione futura del trio come “the lady vanishes”, dolente ballata, rappresa, suonata nei tempi adeguatamente lenti, fin qui non proprio appartenenti al gruppo, per questo meritevole di nota, dove le chitarre in riverbero proiettano un sentimento evocativo nuovo, lasciando posto alle immaginazioni visive più che sollecitare eccitazione e adrenalina.

A volte ancora, la continua ricerca dell’alternanza delle voci all’interno della singola canzone sembra un po’ forzata, come se la band avvertisse la necessità comunque di far sentire i tre interpreti in ogni brano, quando forse di per sè era gia’ buono (“Fundraiser” ad esempio), ma si sa, da giovani si riempie prima di pensare a togliere e i bar italia hanno molto felice e fertile tempo davanti per imparare a trovare un loro equilibrio.


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