Economia

Banco Bpm, il no della Bce sul Danish Compromise per l’Opa su Anima

MILANO – Nuovi sviluppi nel risiko bancario italiano, questa volta per mano di un attore esterno. La Banca centrale europea ha espresso un parere negativo sull’applicazione del cosiddetto Danish Compromise sull’Opa lanciata da Banco Bpm, attraverso la controllata Banco Bpm Vita, su Anima. Un ostacolo che probabilmente non fermerà l’offerta della ex-popolare di Milano, la quale si premura di confermare in un comunicato di essere vicina al superamento del 50% del capitale della Sgr. Ma che potrebbe rendere meno plausibile – o più contenuto – un rilancio da parte di Unicredit nella sua offerta sull’istituto. Pesate la reazione in Borsa, dove il titolo di Piazza Meda perde oltre il 5%. Negative anche Unicredit (-1,6%) e Anima (-0,5%), come del resto anche il Ftse Mib.

La decisione arriverà dall’Eba

Quella di Francoforte non è una decisione, che spetta all’Autorità bancaria europea (Eba) ed è ancora attesa, ma un’interpretazione che, conferma la banca, nei giorni scorsi è stata formalizzata all’istituto guidato da Giuseppe Castagna, che dovrebbe discuterne nel cda in agenda per domani. Secondo quanto ricostruito da Radiocor, il riferimento normativo oggetto della questione è la Crr – ovvero il regolamento Ue sui requisiti patrimoniali nell’ambito del Basilea 3 – che secondo Banco Bpm andrebbe applicato in un modo e secondo Francoforte in un altro: ciò di fatto ha portato all’interpretazione negativa da parte di Francoforte sull’applicabilità dello sconto danese. La palla ora passa all’Eba, che se confermasse l’interpretazione renderebbe l’Opa su Anima più onerosa dal punto di vista del consumo di capitale.

Castagna e Orcel, due opinioni opposte

Castagna confidava nel via libera europeo, ma anche senza di esso punta comunque a mantenere l’indicatore di patrimonio Cet1 ratio sopra il 13 per cento. E proseguire con il proprio piano stand alone presentato lo scorso febbraio e che, in qualunque scenario, prevede una distribuzione ai soci di almeno sei miliardi nel periodo 2024-27.

Di diverso avviso è Andrea Orcel, ad di Unicredit, banca che il 25 novembre, pochi giorni dopo l’annuncio dell’Opa di Banco Bpm su Anima, ha annunciato un’offerta pubblica di scambio (Ops) al piano di sopra, sullo stesso Banco.

Allora, il rapporto di scambio (0,175 azioni Unicredit di nuova emissione per ogni azione Bpm) implicava un premio dello 0,5% sui prezzi di Borsa, per un totale di 10,1 miliardi. Premio che si è presto eroso, tanto che ai prezzi di venerdì scorso sarebbe servito poco più di un miliardo solo per pareggiare la Borsa.

Impatti a cascata sull’Ops di Unicredit

Da qui l’ipotesi di un rilancio in contanti, un po’ in scia a quanto fatto nel 2020 da Intesa Sanpaolo per portare a casa Ubi Banca. Interpellato in proposito proprio nei giorni scorsi, Orcel non l’ha escluso, ma a patto che in Banco Bpm ci sia più valore.

E ciò, a detta del numero uno di Unicredit, poteva non accadere se dalla Bce non fosse arrivata la luce verde sul Danish compromise: in questo caso, “la transazione” sulla Sgr consumerebbe “miliardi di capitale”, motivo per cui quello che si acquisterebbe sarebbe “molto meno capitalizzato di quello che si aveva all’inizio; non sarebbe un elemento positivo, ma negativo”.

Senza lo sconto danese sul capitale, insomma, non solo sembra essere poco realistico un ritocco all’insù dell’offerta ma Orcel potrebbe addirittura decidere di mettere in discussione l’intera operazione.


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