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Baldonado: “Ho vinto la Grey Cup con la caviglia a pezzi, nessun dolore mi avrebbe mai fermato”

Lo racconta quasi fosse la cosa più normale del mondo: “Vabbè, non avrei dovuto esserci perché nella partita precedente mi ero fatto male, molto male, a una caviglia. Ma non avrei mai accettato di saltare la finalissima per il titolo di campione di football americano del Canada. Mai per nessuna ragione al mondo, dai…non era proprio possibile”.

Habakkuk Baldonado, il giovane forte difensore romano (e romanista) di Torrevecchia, ha disputato la partita della vita seriamente infortunato e ha giocato per giunta molto bene, contribuendo con la costante pressione sul quarterback avversario alla vittoria della Grey Cup da parte dei suoi Roughriders.

Hai giocato sul dolore, acuto, come hai fatto a superarlo e a non pensarci durante il match?

“Dovevo farlo. Sono in Canada da tre stagioni. Ci giocavamo un trofeo importantissimo che ti resta nella carriera e nella vita, ho fatto tanto per raggiungerlo, non potevo restare a guardare la partita in tv…”.

Quando ti sei fatto male?

“Nel match precedente, quando abbiamo vinto la West Division contro i BC Lions. Ho subito una brutta distorsione alta della caviglia, qui la chiamano high ankle sprain. Il dottore mi ha spiegato che sarebbe una rottura del legamento tra la tibia e la fibula, in realtà anche nel football si tratta di un infortunio piuttosto serio che impone lo stop per un lungo periodo, almeno dieci settimane lontano dal campo per recuperare anche perchè ho riportato altri danni sempre a quella caviglia in quel match”.

E il medico ti ha imposto lo stop, immaginiamo…

“Sì, mi ha detto così dopo la risonanza magnetica: Habakkuk, da stasera cammini con le stampelle e ti fermi, non puoi giocare”.

Immaginiamo la risposta…

“Gli ho detto: ma dottore, secondo lei ho giocato 21 partite per saltare la finale? Non se ne parla. Facciamo tutto quello che dobbiamo fare dottore ma io devo giocare. E lui ha fatto un po’ di magie, tanto inevitabile dolore e sono riuscito a scendere in campo anche se la condizione era che nelle short yardage mi avrebbero sostituito e invece sono rimasto per tutta la partita anche perché durante il match si sono fatti male altri difensori”.

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Andiamo al cuore del match. Due azioni decisive. Quel fumble a una yard, una sola, dal touchdown possibile dei rivali e poi quel lancio dell’Ave Maria, ultimo disperato tentativo dei vostri avversari di Montreal.

“Iniziamo dal fumble. C’ero, c’ero anche io sul lato destro proprio dove abbiamo causato quella preziosissima palla persa da Montreal. Ma la cosa divertente e bizzarra è che non avrei dovuto esserci proprio per l’infortunio che comunque prevedeva un mio utilizzo limitato. E invece, siccome si era fatto male un altro defensive end che doveva giocare in quel posto poco prima, ero presente io. Un momento cruciale, nessun dubbio. E sul pass dell’Ave Maria, la cosiddetta Hail Mary, il lancio della disperazione insomma, era proprio alla fine, stavo sul lato destro e ho corso con tutto quello che mi restava in corpo, poco…ero talmente cotto, perché la caviglia urlava dal dolore, ma avevo tanta fiducia nei miei compagni ormai, sono sincero. E’ andata bene”.

I top player dei Roughriders secondo Habakkuk Baldonado sono…

“Difficile fare pochi nomi. Siamo pieni di campioni ed è il motivo per cui abbiamo vinto. Il nostro sport è così: se undici su undici, anzi dodici su dodici in Canada, non fanno tutti il proprio lavoro al massimo non vinci. Siamo la squadra migliore del Canada al cento per cento. Ma voglio citare la linea di difesa Micah Johnson, Mike Rose, Caleb Sanders, Malik Carney, Aaron Patrick e gli altri, tutti i miei compagni di reparto si sono rivelati grandi persone, siamo sempre stati molti uniti e abbiamo giocato al massimo e con costanza. E poi i cornerback come Tevaughn Campbell. E non posso non citare il nostro quarterback, Trevor Harris, il right tackle Jermarcus Hardrick; e poi tutti i ricevitori, il running back Oj Ouellette e potrei continuare”.

Un voto alla tua partita?

“Sinceramente, alto. E non era facile, lo giuro, con quella caviglia messa in quel modo. In realtà per noi è stata una gran partita, siamo arrivati carichi, la squadra era pronta: siamo usciti dal tunnel a cannone, abbiamo iniziato il match a cannone, Montreal dall’inizio ha capito che aveva zero speranze, dal primo minuto si è capito che dominavamo, loro hanno provato a tornare un paio di volte ma più per nostri errori che per loro meriti ma non ce l’hanno fatta”.

Flashback da ricordare della finalissima?

“Nonostante non fossi al massimo per l’infortunio ho disputato una gran gara e me lo ripeto con orgoglio, non lo nascondo. Ho messo a segno un paio di tackle, ho esercitato tanta pressione sul quarterback e verso il termine dell’incontro l’ho anche colpito tre volte. Inoltre i due nostri intercetti in qualche modo sono stati anche causati da me, dal fatto che inseguissi il loro qb e lo costringessi a lanciare male, senza accuratezza, con fretta e con il timore di subire un sack o, peggio, di poter causare un fumble. Bello, dai…”.

Puoi svelarci la strategia della vostra difesa?

“Sapevano che il loro quarterback aveva in partenza problemi con il bicipite femorale e da subito abbiamo capito che stava peggio di quanto pensavamo, il nostro piano comunque era quello, già in partenza, di farlo uscire dalla tasca e di farlo correre il più possibile. E infatti verso la fine della partita mentre correva si è stirato il muscolo”.

Eri un ragazzino di Torrevecchia e neanche sapevi cosa era il football. Ora sei un professionista e hai vinto il campionato del Canada, chi devi ringraziare?

“Ci vorrebbe un villaggio come dicono in America, per tutti i ringraziamenti”.

Da chi iniziamo?

“Dagli allenatori dei Lazio Marines come Lorenzo Scaperrotta, Marco Fiordalice, Dario Leone, Lorenzo Sarto, il presidente Fabio Pacelli, Fabrizio Umetelli, mio compagno storico che mi ha aiutato a inserirmi nel football. E poi mamma, Paola Franceschelli, mio fratello Jonathan Baldonado per essere sempre stati vicino a me in ogni momento della mia vita, i miei compagni di squadra e la mia famiglia americana alla quale devo moltissimo e che è stata il motivo per il quale ancora gioco a football: Kannon, Kurt e Zach Feshbach. Mi hanno accolto che ero ancora un bambino o quasi, grazie davvero per l’enorme supporto e cura. E ancora: gli allenatori della high school Jessie Chinchar e David Feldman e quelli del college, Pitt, Pat Narduzzi e Charlie Partridge. Sicuramente ne dimentico molti che nel mio percorso mi hanno aiutato e che dovrei ringraziare, l’ho detto: ci vorrebbe un villaggio”.

Cosa diresti a un ragazzo di una qualsiasi periferia italiana che ha un sogno: diventare un giocatore di football americano professionista e vincere nei campionati che contano…

“Gli direi: non perdere mai la speranza nel cuore ma nel cervello dovrai sempre avere la consapevolezza che per arrivare qui e giocare a questi livelli ci vuole tanto, tanto a livello fisico e mentale e tutto questo testerà nel profondo il vostro amore per questo sport e la volontà di riuscire; ma ci si può arrivare, io ne sono la dimostrazione. Ho continuato a spingere, a dare il cento per cento, fatelo anche voi. E ricordatevi: fate tutto al cento per cento, deve essere il vostro mantra. Non ci sono segreti. Come dicono in America: no secrets is just hardwork and dedication. Lavoro, lavoro, lavoro, lavoro e poi ancora lavoro. E dedizione a quello che fai. Ma dico…totale dedizione, totale nel senso pieno della parola”.

E adesso, Habakkuk?

“Adesso per la prima volta sarò senza contratto. Free agent a tutti gli effetti e non so cosa mi aspetta. Spero il meglio… Tutti sanno qual è la terra promessa per chi fa il mio lavoro… (la Nfl, ovviamente, che non cita forse per scaramanzia dopo le delusioni di draft e New York Giants, ndr). Ma oggi è il momento di fare festa con la parata in città (su camion rigorosamente verdi, sigari della vittoria e occhialoni da neve per evitare che lo champagne stappato di continuo finisca negli occhi, ma ci sta…se non ora quando?) e poi tra pochi giorni relax totale perchè farò un viaggio in Giappone. Un bel viaggio…ma da campione del Canada di football americano”.

E scusate se è poco. Ad maiora Habakkuk Baldonado.


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