Badolato, il sindaco voleva farsi vedere con l’uomo del clan Gallace
Nelle relazioni del ministro e del prefetto che hanno portato allo scioglimento del Comune di Badolato ripercorso il ruolo del sindaco e le ingerenze del clan Gallace
BADOLATO – «In tutte le occasioni in cui il sindaco – abitualmente residente in altra regione – si recava a Badolato per adempiere a impegni istituzionali non delegabili, l’affiliato alla cosca locale prendeva parte a tutti gli incontri informali che il primo cittadino organizzava con il vice sindaco ed altri componenti del suo staff». Lo scrive il ministro Piantedosi nella relazione che, recependo la proposta del prefetto di Catanzaro, Castrese De Rosa, ha portato allo scioglimento del consiglio comunale di Badolato. Si conoscono le motivazioni alla base del commissariamento del Comune travolto, nel gennaio scorso, da un’inchiesta della Dda di Catanzaro. Gli inquirenti arrestarono il sindaco Giuseppe Nicola Parretta, il vice Ernesto Maria Menniti, il presidente del consiglio comunale, Maicol Paparo, gli assessori Antonella Giannini e Andrea Bressi.
Tutti finiti ai domiciliari per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio politico-mafioso nell’ambito dell’indagine che inflisse un duro colpo alla cosca Gallace, dominante nel Basso jonio catanzarese e con proiezioni nel Lazio e in Nord Italia. “Dominus” del patto scellerato sarebbe Antonio Paparo, che, a quanto pare, orientava la politica cittadina.
LE ELEZIONI
Sotto la lente sono finite le elezioni amministrative dell’ottobre 2021. Lo scontro era tra la lista “Vivi Badolato”, guidata da Parretta, e la lista civetta “Uniti per Badolato”, capeggiata da Menniti. Parretta è eletto per la prima volta nel 1977, rimanendo in carica fino al 1980. A distanza di circa 30 anni è eletto per la seconda volta nel 2008 e poi riconfermato nel 2013. Ma il secondo mandato fu interrotto prematuramente nel 2014 in seguito all’inchiesta Free Boat Itaca che determinò lo scioglimento per mafia del consiglio comunale.
L’ex sindaco venne assolto a processo. Ma la relazione prefettizia ripercorre anche la dichiarazione di incandidabilità di Parretta formulata nel 2016 dalla Corte d’Appello di Catanzaro.
IL CANDIDATO SINDACO A SPASSO COL BOSS DEL CLAN GALLACE A BADOLATO
Ma anche il «rapporto di pregressa conoscenza e documentata frequentazione, a partire dal 2005, del primo cittadino con il menzionato imprenditore, esponente del sodalizio criminoso, attinto dalla custodia cautelare in carcere, con la consapevolezza da parte del sindaco della sua caratura criminale». Del resto, già prima delle elezioni «il candidato sindaco – scrive il ministro nel provvedimento ratificato dal Presidente Mattarella – evidenziava all’esponente del clan locale come fosse importante farsi vedere insieme sul territorio».
Per questo «chiedeva l’intervento di quest’ultimo per la risoluzione di questioni che lo riguardavano direttamente, tra cui quella relativa agli usi civici che bloccavano l’edificazione edilizia sui terreni intestati ad una sua società, in un’ampia fascia della costa di Badolato, già lottizzata».
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LE INGERENZE
L’ingerenza mafiosa sarebbe stata finalizzata anche alla formazione della lista civetta in modo da abbassare il quorum per consentire l’elezione della lista di Parretta, vittoriosa con un plebiscitario 92% dei consensi. Ma ci sarebbero state anche le minacce al vicesindaco, col «veto di assegnare incarichi e lavori senza il suo consenso e senza un suo vantaggio diretto». Condizionamenti a tutto campo.
Dall’allontanamento di un avvocato dallo staff del sindaco perché non gradito a Paparo all’assunzione di un’agente di polizia locale figlia di una persona ritenuta contigua al clan. Dall’affidamento dei lavori per la realizzazione di parcheggi alla fornitura di bitume da parte di una ditta già destinataria di due interdittive antimafia. All’individuazione di un’assessora esterno, «riferimento della cosca», la quale aveva manifestato «perplessità ad accettare l’incarico ritenendo di non avere le competenze necessarie». Sono soltanto alcune delle «indebite ingerenze» rilevate dalla commissione d’indagine, le cui conclusioni sono fatte proprie dal ministro.
«Più che di condizionamento della vita dell’ente locale da parte della criminalità organizzata si è di fronte ad una infiltrazione diretta della cosca nella compagine politico-gestionale del Comune di Badolato», conclude il ministro.
Del resto, come osserva il prefetto di Catanzaro, lo stesso presidente del consiglio comunale è accusato di procurata inosservanza al presunto reggente del clan, quel Cosimo Gallace scovato nel 2014 in un bunker dove si nascondeva per sfuggire a una condanna a 14 anni per associazione mafiosa e altro. Un dato che, sempre secondo il prefetto, dimostra la «pregnanza e pervasività» dell’infiltrazione mafiosa nell’ente locale. A questo si aggiunga la “soggezione” del sindaco ai voleri del clan sia nella fase di formazione delle liste che in quella della Giunta comunale.
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