Azzurra Rinaldi: «Se ti senti sfinita non sei tu: è il sistema. Con questo report smontiamo la favola della parità»
La giornata comincia presto e finisce tardi. Le ore si comprimono tra lavoro, cura, compiti invisibili e quella rincorsa continua che molte donne, soprattutto tra i 26 e i 45 anni, vivono come una condizione permanente. Il nuovo report di Unitelma Sapienza, guidato da Azzurra Rinaldi, economista e direttrice della School of Gender Economics, insieme a Claudia Pitteo e al ricercatore Dawid Dawidowicz, prova a misurare ciò che fino a oggi è rimasto ai margini dell’analisi economica: il tempo personale. Come indicatore di disuguaglianza al pari del reddito e dell’occupazione. Perché quando il tempo svanisce, svanisce anche la possibilità di scegliere, progredire, immaginare. E ciò che emerge dalla ricerca è una fotografia nitida: il costo del tempo ricade in modo sproporzionato sulle donne. I dati sono eloquenti: tra i 26 e i 35 anni l’83% delle donne si sente costantemente stanca; tra i 36 e i 45 anni l’81% non ha nemmeno un’ora al giorno per sé. Numeri che tracciano una diseguaglianza strutturale, non un limite individuale.
Nel report il tempo personale diventa una variabile economica a tutti gli effetti. Cosa cambia nell’analisi della disuguaglianza se iniziamo a misurare il tempo come risorsa scarsa, al pari del reddito e dell’occupazione?
«Cambia tutto. I dati che abbiamo raccolto, su un campione molto ampio, quasi 2500 donne italiane, ci dicono chiaramente che il tempo è un vero indicatore economico. Anche qui si gioca il terreno delle disuguaglianze: c’è chi il tempo ce l’ha e chi non ce l’ha, e la divisione è netta.
Ad averlo, in misura maggiore, sono gli uomini: più tempo per lavorare e guadagnare, ma anche più tempo personale. Le donne, invece, quel tempo non ce l’hanno. La nostra ricerca lo conferma, così come Istat: la mancanza di tempo produce effetti diretti anche sulla salute. Penso a un dato impressionante: tra i 26 e i 35 anni, l’83% delle rispondenti si sente frequentemente stanca o sfinita. E nella fascia 36–45 anni l’81% non ha nemmeno un’ora al giorno per sé, perché il tempo viene completamente assorbito dalla cura degli altri».
A proposito di questo: quali conseguenze avete osservato su carriera, benessere ed energia disponibile?
«Le conseguenze sono enormi, perché il tempo non è un dettaglio ma la condizione che permette di prendersi cura di sé. Molte donne ci dicono di rinunciare alle visite mediche semplicemente perché non hanno il tempo materiale di farle: non riescono a incastrare l’appuntamento, l’attesa, lo spostamento. È un dato che parla da solo».
Un dato che influisce sulle «scelte obbligate».
«C’è l’impatto sulla carriera: se non hai tempo, ti senti schiacciata, sopraffatta. E allora arrivi al punto in cui lasci il lavoro. O sei costretta a prendere un part-time. E chiariamo una cosa: non è una tua “incapacità”. Il punto è che il sistema è costruito pensando a un altro tipo di lavoratore: un uomo con dodici ore di disponibilità quotidiana e nessun carico di cura, perché qualcun’altra lo fa al suo posto. Dentro questo modello, le donne non vinceranno mai».
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