Scienza e tecnologia

azione intensa e gameplay spietato

Nel preparare il lancio perfetto per l’attesissimo quarto capitolo di Ninja Gaiden, in pochi mesi Koei Tecmo ed il Team Ninja hanno riproposto ai loro fan due inattese versioni di grandi classici: mentre a gennaio abbiamo potuto rivivere lo storico sequel grazie a una buona operazione di remake (qui la nostra recensione di Ninja Gaiden 2 Black), la fine di luglio ha segnato invece un ritorno ancora più antico con un titolo del tutto originale, perché Ninja Gaiden Ragebound è un inno ai videogiochi di fine anni Ottanta. A pubblicare un’opera dal sapore così nostalgico non poteva che esserci Dotemu, l’etichetta che negli ultimi anni ha curato tanti giochi “da cabinato”, ma ad impreziosire quest’ultima uscita c’è proprio l’attenta supervisione del Team Ninja, il quale ha seguito da vicino il lavoro degli sviluppatori spagnoli saliti agli onori della cronaca con i loro Blasphemous.

Ciò che è antico non è per forza vecchio

Nel riproporre quello che è un ritorno alle origini della saga era difficile trovare una squadra potenzialmente più adatta al ruolo dei The Game Kitchen, gruppetto di talentuosi ragazzi con sede a Siviglia che ha esplorato i mondi 2D con un’accoppiata di soulslike indiscutibilmente diversi rispetto ai classici Ninja Gaiden, ma al tempo stesso accomunati da numerosi particolari che già lasciavano intuire questa possibile deviazione rispetto al percorso già compiuto.

La loro cifra stilistica, a partire da una scelta grafica molto vicina a quella dell’era a 16 bit fino ad una colonna sonora decisamente ispirata ai capisaldi delle sale giochi, ed il tasso di difficoltà tarato verso l’alto figurano come il naturale trait d’union tra i soulslike religiosi e la saga degli Hayabusa, mentre alcuni piccoli accorgimenti apportati alla loro formula ludica rendono onore al passaggio di consegne operato dal Team Ninja, perché gli spagnoli hanno dimostrato di aver compreso in pieno quella che è la vera essenza di Ninja Gaiden. Eliminando dall’equazione la deriva hack n slash che è attualmente il cardine dei capitoli più moderni, Ragebound torna alle radici della serie orchestrando un action in due dimensioni dai ritmi serrati, nel quale il platforming e l’uccisione dei demoni si intrecciano in un gameplay che richiede riflessi rapidi e dita ancora più agili. Situato cronologicamente in parallelo rispetto al primissimo capitolo, Ragebound segue le avventure di Kenji, ninja del clan Hayabusa al quale il leggendario Ryu ha affidato il compito di proteggere il loro villaggio dai demoni mentre lui si imbarca per gli Stati Uniti alla ricerca del Dottor Smith. Il Clan del Ragno Nero, da sempre rivale degli Hayabusa, ha scioccamente tentato di assoggettare al suo potere un importante demone, lasciando aperto un varco con l’inferno dal quale continuano a fuoriuscire mostruosità che devastano il Giappone.

Preso il controllo del giovane ninja, il giocatore è dunque chiamato ad affettare i nemici alternando le poche ma efficaci mosse a sua disposizione: il veloce fendente di una katana uccide in un solo colpo la maggior parte dei demoni minori, ed altrettanto letale è l’affondo eseguibile dopo una breve schivata che fornisce alcuni frame di invincibilità, mentre a mezz’aria è possibile trovare lo slancio per un nuovo salto librando sui nemici con il cosiddetto attacco a ghigliottina. È proprio quest’ultima mossa che permette a Ragebound di amalgamare senza soluzioni di continuità l’anima action del gioco alla sua controparte platforming, perché per ottenere il massimo dell’efficienza Kenji deve ottenere una rapida inerzia che lo porta ad abbattersi negli stage come una furia assetata di sangue, tra rapidi fendenti che deviano i proiettili e squarciano i demoni, mentre i salti ben calibrati gli permettono di evitare baratri e trappole di vari tipi.

Riflessi da ninja

Prendersi qualche attimo di pausa per analizzare con calma la situazione e decidere l’approccio migliore all’attacco può infatti rivelarsi controproducente, facendo perdere quel rapido ritmo che permette a Kenji di seguire un “percorso perfetto” nel quale ogni singolo dettaglio nel livello, dal posizionamento dei demoni ai loro stessi proiettili sui quali è possibile rimbalzare, si trova al punto giusto e nel momento esatto.

Puntando tutto sulla velocità e sui riflessi Ragebound si rivela una scarica di adrenalina capace di dare dipendenza e, soprattutto durante i livelli iniziali, cadenza bene le nuove risorse offerte al giocatore per ampliare il suo arsenale di morte: lungo il cammino Kenji sarà costretto a fondersi con l’anima di Kumori, sua acerrima nemica in quanto appartenente al Clan del Ragno Nero, guadagnando l’abilità di lanciare kunai oltre a scatenare un potente attacco “pulisci-schermo” una volta messi a segno diversi attacchi caricati. Come detto in precedenza, infatti, un singolo fendente uccide quasi tutti i demoni minori, mentre per quelli più coriacei è necessario un colpo caricato ottenuto dall’eliminazione di un nemico circondato da un’aura blu o rossa. Una volta annientato, il colpo successivo di Kenji sorpassa qualsiasi armatura e sminuzza tutto ciò che trova sul suo cammino, rendendo così essenziale la gestione delle sequenze di morte da attuare in modo da sbarazzarsi velocemente di tutti gli sgherri. In seguito ai primi atti della campagna, purtroppo, il ventaglio di possibilità ludiche offerte smette di arricchirsi e le sorprese si limitano soltanto ad alcuni stage più particolari, simili a quello iniziale in cui Kumori corre e lotta in sella a una motocicletta.

La ripetitività comincia così ad insinuarsi in un approccio alla lotta di fatto sempre uguale, nonostante la tensione offerta da un livello di sfida in linea con i capisaldi del genere, e per questo non è un male che la prima partita duri dalle 6 alle 8 ore, variabili in base a quanto si è attenti durante l’esplorazione delle mappe. Al netto di una progressione dei livelli del tutto lineare, lungo il cammino è possibile imbattersi in stanze segrete che nascondono vari oggetti, dalle pergamene che sbloccano missioni opzionali agli scarabei dorati da scambiare con abilità passive ed attive, attivabili però soltanto due alla volta per non ammorbidire la curva di difficoltà.

Stile e sostanza

Ad aumentare la longevità del titolo ci pensa un sistema di valutazione che tiene conto del tempo necessario a finire ogni stage, del numero di nemici uccisi e della combo massima ottenuta durante il livello: molti giocatori saranno ingolositi dal rango di Maestro Ninja ottenuto con il voto S, ma oltre alla grande soddisfazione personale non c’è altro perché i nuovi oggetti acquistabili nel negozio vengono sbloccati già all’ottenimento dei ben più abbordabili gradi B ed A.

Sul piano artistico, come era già successo con i due Blasphemous, Game Kitchen si è dimostrata ancora una volta in grado di unire la tradizione con la modernità, coniugando i modelli sprite in 2D tanto cari al genere con una cura dei dettagli sensazionale, ed animandoli con numerosi movimenti scorrevoli che non sono soltanto belli da vedere, ma appaiono soprattutto molto responsivi ai comandi, generando un senso di fluidità del tutto estraneo alla macchinosità di tanti titoli simili pubblicati negli anni Novanta.

Durante la storia si alternano fondali ben curati, sebbene non molto originali, che ci trasportano dal classico villaggio giapponese ad una grotta usata dai pirati portoghesi per nascondere le loro refurtive, passando per fabbriche che tracimano pistoni ed anche ad una portaerei made in USA da affettare con la nostra katana. Purtroppo il level design di Ragebound non si piega alle diverse ambientazioni offerte dal suo comparto artistico e propone raramente qualcosa di nuovo in base allo scenario corrente: le variazioni sono soltanto di tipo visivo ma rientrano all’interno di un canone che prevede piattaforme mobili o cedevoli, ganci ai quali aggrapparsi e strapiombi dove ci attende soltanto il game over.

La stessa criticità è rinvenibile anche nei boss di fine livello perché, sebbene l’ispirata diversità estetica li porti a spaziare da mostri tentacolari a robot assassini, sono tutti accomunati da tipologie di attacco molto simili, le quali rendono prevedibili le battaglie contro questi grandi nemici finali. A chiusura dell’analisi del comparto artistico non possiamo esimerci dal lodare l’ispirata colonna sonora che accompagna le mattanze di Kenji e Kumori, composta da melodie che richiamano alla memoria i pezzi dei primissimi Ninja Gaiden (i compositori della trilogia originale hanno lavorato insieme agli sviluppatori spagnoli), ma riarrangiati attraverso un sound aggressivo fatto di chitarre distorte che ben si sposa con il gameplay rapido e letale di Ragebound.


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