Lazio

Attentati ai Carabinieri e alla Polizia, fermato il 34enne accusato degli incendi

Lo hanno cercato per mesi, osservando ogni dettaglio dei filmati, incrociando testimonianze, ricostruendo ogni passo. Alla fine lo hanno trovato.

È un uomo di 34 anni, di origine egiziana, l’arrestato ritenuto responsabile dei due violenti attentati incendiari avvenuti a febbraio ai danni della caserma dei Carabinieri di Castel Gandolfo e del commissariato di Polizia di Albano Laziale.

A coordinarne la cattura, un’operazione congiunta dei carabinieri del Nucleo Investigativo di Frascati e del ROS, insieme alla DIGOS della questura di Roma, sotto mandato del GIP del Tribunale di Velletri.

Un arresto che segna una svolta in un’indagine delicata e complessa, su cui la procura ha scelto la linea dura: l’accusa è strage politica, reato punito con l’ergastolo.

Il fuoco come arma

Il primo atto si consuma nella notte del 9 febbraio. L’uomo, secondo quanto ricostruito, scala un’impalcatura e si introduce nel cortile della caserma di Castel Gandolfo. Imbeve un panno con liquido infiammabile, lo infila sotto le auto di servizio e accende la miccia.

Le fiamme avvolgono due veicoli, ma l’intervento tempestivo dei militari impedisce il disastro: a pochi metri, un distributore di carburante avrebbe potuto trasformare l’incendio in tragedia.

Due settimane dopo, l’attacco più grave. Nella notte del 24 febbraio, un uomo incappucciato scala una recinzione alta cinque metri e si introduce nel piazzale interno del commissariato di Albano.

Qui dà fuoco a 17 auto della polizia, provocando un enorme rogo che devasta anche parte della struttura e un edificio privato vicino. Cinque squadre dei Vigili del Fuoco combattono le fiamme per ore.

L’identificazione: tra telecamere, odori e zaini

Le indagini si sono concentrate sul modus operandi: stesso stile, stessa freddezza, stessa area. Le immagini delle telecamere di sicurezza mostrano l’autore mentre fa sopralluoghi, studia percorsi, analizza i punti ciechi. Durante uno di questi, un carabiniere lo nota e lo segnala per l’atteggiamento sospetto. È l’inizio della fine.

Le tracce portano fino a un’abitazione dove il sospettato era rientrato dopo l’attacco ad Albano. Qui, alcuni condomini avevano riferito di un forte odore di benzina nei giorni precedenti. E proprio nei pressi del commissariato incendiato, gli investigatori trovano una bottiglia con liquido infiammabile. È ancora sotto analisi, insieme alle impronte.

Il RIS conferma: l’altezza e la corporatura dell’uomo combaciano perfettamente con quelle della figura ripresa dalle telecamere. E durante una perquisizione del 22 maggio, gli inquirenti sequestrano un cellulare, vestiti e uno zaino identici a quelli usati negli attentati.

Un odio profondo come movente

Secondo gli investigatori, il movente sarebbe personale. Un rancore profondo e radicato contro le forze dell’ordine, maturato negli anni, forse legato a precedenti non ancora del tutto chiariti. Ma quel rancore, ora, si è trasformato in una pesante accusa: aver agito per colpire la sicurezza dello Stato.

Il sospettato si trova ora nel carcere di Velletri, in attesa di interrogatorio e delle prossime mosse dell’autorità giudiziaria.

Le foto presenti su abitarearoma.it sono state in parte prese da Internet, e quindi valutate di pubblico dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, non avranno che da segnalarlo alla redazione che le rimuoverà.

Scrivi un commento


Source link

articoli Correlati

Back to top button
Translate »