Attacco partigiano di via Rasella del 23 Marzo 1944 e le vite clandestine dei suoi esecutori
“Colpire sempre. Non dare respiro” […]. A Roma non c’erano le montagne. Chi nel resto del Paese combatteva fascisti e nazisti si nascondeva sui monti e poteva contare sulla loro amicizia. Le grotte e gli anfratti lo proteggevano, i sentieri scoscesi e sassosi, i boschi riparavano dalla luce del sole e dal fuoco nemico. Persino i burroni, i dirupi, i precipizi erano alleati benevoli. Qui era tutto diverso. Per nascondersi, si poteva contare solo sui portoni, sulle strade strette del centro, sui quartieri che in periferia si intrecciavano e si confondevano con le campagne, su qualche casa amica, sulla compassione delle chiese o dei conventi. Le truppe nazifasciste non si annunciavano, ma c’erano sempre, apparivano all’improvviso, sfilavano per le strade, perquisivano i quartieri, entravano nei portoni. Toglievano il respiro, assorbivano l’anima, finivano con la loro sola presenza.” (Ritanna Armeni, “A Roma non ci sono le montagne”, Ponte Alle Grazie, 2025)
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La storia dell’attacco partigiano di Via Rasella, a Roma, del 23 Marzo del 1944, portato nel 25° Anniversario della fondazione, in Piazza di San Sepolcro a Milano dei Fasci di Combattimento, è ancora oggi storia divisiva. Nonostante quella dei GAP romani sia stata una delle più importanti azioni di guerra sferrate contro i tedeschi in una Capitale occupata e spesso non se ne trova traccia nei Saggi che raccontano di quei 271 giorni in cui “era notte a Roma”
Quando si pensa all’occupazione nazifascista del nostro Paese da molte parti si pensa che a Roma la guerra praticamente non ci sia stata. Ma non è così. Nonostante Roma fosse stata dichiarata, il 14 Agosto del 1943, “Città Aperta” (che voleva dire smilitarizzata) quello status i tedeschi non lo avevano riconosciuto e dunque la città era piena di militari germanici e non era solo una retrovia smilitarizzata, come avrebbe dovuto essere. I tedeschi avevano trasformato la città in un Centro militare fortemente organizzato, cruciale per la battaglia che si conduceva sul Fronte di Cassino. Ma non solo. Avevano colpito (e colpivano) con una durissima repressione la popolazione della città che in ogni modo, con la resistenza attiva e con quella passiva, dimostrava di non gradire affatto quell’occupazione: i tedeschi erano odiati e così i fascisti. Mussolini, era noto, non amava i romani – e dopo la nascita della sua RSI manderà a Roma il toscano Alessandro Pavolini, diventato Segretario del ricostituito Partito Fascista Repubblicano (e fondatore e delle Brigate Nere) – e i romani lo ricambiavano con la stessa moneta.
Roma in quei giorni
«Roma era livida… era de un grigiore e de ‘na tristezza che se esprimeva proprio nell’atmosfera, se respirava. Sembrava che proprio l’aria fosse intrisa de tristezza, capito? Era ‘na Roma dove tu vedevi la gente che fuggiva, magra, triste, capito? Era questa, ‘na Roma sofferente … pare che ‘n c’era più luce… Poi Roma è rimasta così, pe’ tutto er periodo de l’occupazione, ‘na città triste. Era ‘na Roma grigia. È quella Roma là, la Roma delle Fosse Ardeatine». (Umberto Turco, Scenografo del Film “Roma Città Aperta
In città, la repressione nazifascista era durissima: il 7 Ottobre del 1943, c’era stata la deportazione dei Carabinieri Reali di Roma; nove giorni dopo sarà la volta della razzia degli ebrei romani in tutta la città e più di mille ebrei romani partiranno per i Campi di sterminio (gli ebrei romani deportati, nei nove mesi di occupazione nazifascista della città, furono in totale 2.019. tra cui oltre 200 bambini. Ne torneranno solo 101, ma nessun bambino). Il 7 Aprile del 1944, dieci donne erano state uccise dai nazifascisti al Ponte di Ferro (il Ponte dell’Industria) situato tra i Quartieri Ostiense e Portuense, mentre cercavano pane per i loro figli. E altre donne in altre parti della città, facevano la loro stessa fine per lo stesso motivo (il 2 Maggio 1944, a Tiburtino Terzo, è ammazzata la partigiana comunista Caterina Martinelli mentre tenta l’assalto ad un Forno).
Il 26 Marzo precedente il Generale Kurt Malzer, Comandante militare tedesco della Piazza di Roma (quello che diceva che la metà di Roma nascondeva l’altra metà), aveva emesso un’Ordinanza con la quale riduceva a 100 grammi a testa la razione quotidiana di pane dei romani. Tutto questo mentre al Cimitero Monumentale del Verano, i dipendenti comunali che li lavoravano continuavano a seppellire i cadaveri di cittadini romani ammazzati per la strada, perché trovati privi di documenti o perché, trovati in strada nelle ore del coprifuoco, avevano tentato la fuga. E poi c’erano stati (e c’erano) i bombardamenti alleati, causati dall’occupazione tedesca della città (dall’inizio alla fine della guerra Roma ne subirà 52) e a pagare con la vita erano sempre i romani.
“Mejo l’americani su la capoccia che Mussolini tra li cojoni”. Scritta apparsa, il 20 Luglio 1943, su un muro del Quartiere Casilino, di Roma, dopo il bombardamento di San Lorenzo del giorno precedente: (Pasquino docet).
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Se la repressione nazifascista era dura, la risposta partigiana lo era altrettanto. I partigiani delle diverse Formazioni clandestine che operavano in città attaccavano i nazifascisti non dando loro respiro e coordinando le loro azioni che spesso svolgevano insieme.
E’ in questo clima che nasce l’idea dell’azione partigiana di Via Rasella. Mario Fiorentini (Giovanni) era, al tempo, un giovane combattente dei GAP e quel Reparto militare della Polizia tedesca delle SS, l’11^ Compagnia, del Terzo Battaglione del “Bozen” (un milite dii quel Battaglione aveva, il 3 Marzo 44, ammazzato, davanti alla Caserma di Viale Giulio Cesare, Teresa Talotta Gullace) lo vedeva passare tutti i giorni, alla stessa ora, per Via Rasella, cantando (“Hupf, mein Mädel”, “Salta, Bella Mia”, era la canzone) e battendo il passo e pensò che bisognasse fare qualcosa, dare una risposta a tutto questo. Così nasce e si sviluppa l’idea dell’azione partigiana di Via Rasella del 23 Marzo ’44 che colpirà duramente i tedeschi e porterà alla bestiale rappresaglia nazifascista del giorno dopo: ancora un atto vigliacco da parte tedesca e fascista, per sfogare la propria rabbia impotente e terrorizzare una città che non si piegava al volere degli occupanti. (*)
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“A Roma non ci sono le Montagne” di Ritanna Armeni
Fin qui, sommariamente, i fatti storici di quel 23-24 Marzo del ’44. Ma chi erano i 12 Gappisti (10 uomini e due donne) che quell’azione di guerra (perché guerra era tra due eserciti contrapposti) progettarono e portarono a termine? Come vivevano nella città occupata? Cosa pensavano di quella loro lotta, dell’invisibilità clandestina in cui erano (e si erano) costretti a vivere? A queste domande dà una risposta il libro di Ritanna Armeni, “A Roma non ci sono le Montagne” (Ponte Alle Grazie 2025).
La Armeni, giornalista, scrittrice e militante politica di lungo corso, affronta questa parte importante della storia della nostra città e della nostra liberazione dal nazifascismo in un modo assai particolare, Ci racconta si l’idea e lo sviluppo dell’azione partigiana di Via Rasella, ma nel contempo entra per così dire, nelle vite intime dei protagonisti di quell’azione, ne mette a nudo i pensieri, i tentennamenti, i problemi che quella scelta clandestina creava. Lo fa con molta attenzione e con le parole giuste, ché si tratta di una materia da maneggiare con cura, e racconta anche gli amori di quei giovani, in maggioranza intellettuali borghesi, che avevano scelto come riferimento, non solo politico, il proletariato.
Ma la Armeni nelle pagine finali del suo libro ragiona anche sul perché, se l’azione di Via Rasella è stata un’azione militare perfetta, come non ne è stata effettuata nessuna nell’Europa occupata, perché allora si tende a non ricordarla? L’Autrice riflette sulla ricezione dei fatti di Via Rasella e su come la Memoria di quel fatto sia andata via via rarefacendosi. E c’è un’assenza importante: quella di targhe, lapidi o di qualsiasi altro segno che sul luogo in cui si svolse ricorda quell’attacco partigiano. Un’assenza che ha portato l’Autrice a voler continuare nella sua ricerca e nella scrittura di questo libro storicamente e narrativamente efficace, che rinnova l’imperativo di non dimenticare.
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La nostra Sezione ANPI – grazie alla disponibilità di Ritanna Armeni e con la sua presenza – presenterà il libro:
Martedì 1° Aprile 2025 – con inizio alle ore 17,30 – presso l’Istituto Scolastico “2 Ottobre 1870”, sito in Via di Santa Maria Alle Fornaci, 3.
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(*) Va ricordato che tra le 335 vittime della rappresaglia nazifascista delle Cave Ardeatine figura anche Aldo Finzi, ebreo, che era stato Sottosegretario agli Interni nel 1922, nel primo Governo Mussolini, e nel 1923 anche Presidente del CONI. Dopo il delitto Matteotti, Finzi fu costretto dal duce ad abbandonare ogni incarico. Internato, perché contrario alla guerra, dopo l’8 Settembre 1943 appoggiò le Formazioni partigiane. Arrestato dai tedeschi il 28 Febbraio 1944, fu rinchiuso a Regina Coeli. Dopo l’attacco partigiano di via Rasella, finì nella lista di Kappler (285 nominativi, altri 50 ce li mise il Questore fascista di Roma Pietro Caruso). I resti mortali di Aldo Finzi si trovano sepolti nel sito dei Sacelli del Mausoleo Militare delle Ardeatine, nel Sacello n.124.
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