Atene contro Adidas: polemica per la pubblicità sull’Acropoli
La Grecia ha avviato un procedimento legale dopo che l’Acropoli è apparsa, a sorpresa, come sfondo in una campagna pubblicitaria di Adidas. Un’operazione che ha scatenato l’indignazione di parte dell’opinione pubblica e portato la ministra della Cultura, Lina Mendoni, ad annunciare una denuncia formale contro ignoti. «Non è stata seguita alcuna procedura autorizzativa – ha dichiarato Mendoni – e il risultato è un’immagine estetica inaccettabile, quasi che una scarpa stia calpestando l’Acropoli».
L’evento è andato in scena giovedì 15 maggio di notte, attraverso uno spettacolare show di droni lanciato dal centro conferenze Zappeion nel cuore di Atene. Le immagini del Partenone illuminate da sciami di luci hi-tech sono diventate rapidamente virali, ma hanno anche innescato un’indagine formale da parte della procura della capitale. Il nodo cruciale, secondo il ministero della Cultura, è che l’utilizzo visivo del sito archeologico – protetto dall’Unesco – viola le rigide norme nazionali a tutela del patrimonio.
Non solo: anche il ministero delle Finanze e l’Autorità per l’Aviazione Civile sono stati coinvolti per verificare chi abbia concesso i permessi per l’uso dei droni. Secondo la ministra, lo stesso Zappeion avrebbe dovuto ottenere l’approvazione preventiva dal suo dicastero prima di concedere l’area. «Anche questo è un monumento e anche qui è stata violata la legge sulla tutela dei beni archeologici», ha dichiarato.
Adidas, da parte sua, ha replicato sostenendo di aver seguito tutte le procedure richieste dalla normativa greca e di non aver usato immagini dirette del monumento nei materiali promozionali. Ma la polemica non si è placata. In un Paese dove il passato classico è ancora parte viva del presente, il mondo politico ha colto l’occasione per attaccare il governo conservatore.
Il partito Pasok ha accusato l’esecutivo di «superficialità» e di non aver protetto un simbolo mondiale della democrazia, mentre la sinistra di Syriza ha parlato apertamente di «mercificazione del patrimonio culturale» e di «un’immagine offensiva» che banalizza l’identità nazionale.
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