Ata Kak – Obaa Sima (ristampa): L’hiplife ghanese come non l’avete mai ascoltato :: Le Recensioni di OndaRock
Come si lancia una reissue label? Un progetto chiaro a monte, innanzitutto, supportato da un’adeguata dose di dedizione. Ma non basta: per il salto di qualità deve spuntare fuori il nome, l’asso da calare che traina il resto della carovana. Un artista oscuro, magari con trascorsi rocamboleschi e uno stile tanto inimitabile da condannarlo all’incomprensione. Scovarlo richiede pazienza archivistica, lungimiranza commerciale e lo zampino della fortuna: un po’ per merito un po’ per caso, ad Adam Shimkovitz le cose sono girate per il verso giusto.
La differenza l’ha fatta una singola cassetta, senza la quale nulla di ciò che è seguito avrebbe preso piede. La vicenda è già storia della musica, ci limitiamo a riassumerla: nel 2002 l’allora studente di etnomusicologia si trova in Ghana nell’ambito di un programma Fulbright. Ha capito da un pezzo che l’essenza della musica locale va frugata non negli archivi di stato, ma nell’informalità delle cassette pluri-piratate. Non si lascia mai sfuggire una bancarella da razziare, ma appena intravede quella copertina ha il presentimento che la posta in palio sia fuori scala.
L’ascolto gli dà ragione: quella mezz’ora di musica è, letteralmente, inaudita. È così esaltato che decide di digitalizzarla e caricarla sul suo neonato blog. Di più: da quel momento recuperare e diffondere simili tesori diventerà la sua missione. A stretto giro il blog diventa un sito e il sito un’etichetta, con un nome senza giri di parole: Awesome Tapes From Africa. Pubblicata su supporto fisico nel 2015, la tape delle meraviglie diventerà un caso internazionale e la ATFA si affermerà come tempio di culto per i suoni off the radar.
Ma, insomma, cosa c’è in quella misteriosa cassettina? Un intruglio dirompente, a dispetto dei (o grazie ai) rudimentali strumenti che l’hanno forgiato: i ritmi highlife che hanno fatto conoscere il Ghana in tutto il mondo si accoppiano con contagiose sonorità electro-funk-house e testi rappati rigorosamente in lingua twi. C’è un termine preciso per inquadrare l’alchimia: “hiplife”, genere tutto locale che negli anni 90 impazza per le strade di Accra. Il punto è che quel “1994” riportato sugli scarni crediti strapperebbe il primato al connazionale Reggie Rockstone, generalmente riconosciuto come il profeta del movimento. Eppure, l’opera passa del tutto inosservata. Come mai?
Dell’autore, tal Ata Kak, si hanno notizie frammentarie: nato e cresciuto a Kumasi, vive per alcuni anni in Germania (dove suona la batteria in una band reggae) per poi stabilirsi a Toronto (dove entra a far parte di un gruppo highlife). Insoddisfatto e con ben altre folgorazioni per la testa, autoproduce in casa uno sgangherato nastro con equipaggiamento di fortuna e lo spedisce nel suo paese per stamparlo in economia. Della cassetta vengono sfornate 50 copie di cui solo tre vendute, il tutto in assenza di concerti, recensioni o promozione di alcun tipo. Sconfortato, Ata si ritira dalle scene che non ha mai calcato. Torna in Ghana nel 2006, dove azzarda un fallimentare progetto imprenditoriale per poi reinventarsi giardiniere, ignaro dell’alone leggendario che ormai lo circonda.
Quando viene finalmente rintracciato da Shimkovitz, sulle prime sospetta uno scherzo, poi ci prende gusto e decide di resuscitare la sua carriera abortita. Da lì in avanti se lo contenderanno i maggiori festival del pianeta, la stampa lo coprirà di ossequi e, grazie al suo carattere giocoso ed esuberante, non faticherà a farsi amare sui social. La scommessa di Shimkovitz può dirsi vinta, non senza un cruccio: con il master originale deteriorato dall’afoso clima ghanese, l’unica fonte sonora è rimasta la cassettina trovata su quella bancarella, pregiudicando una rimasterizzazione di livello. Il fato gli concederà un altro mirabolante assist nella persona di un appassionato che, vai a capire perché, è in possesso di una copia sorprendentemente pulita. La palla passa dunque alla maga del mastering Jessica Thompson, già dietro alle manopole nell’edizione originale, grazie alla quale questa ristampa per il decennale suona come non mai.
Trucchi a parte, è la musica che continua a tenere banco: in slalom acrobatico tra suoni dispettosamente lo-fi, Ata sciorina i suoi supersonici soliloqui con il tono capriccioso di un Eazy-E accelerato, dispensando una raffica di schiocchi scat su una delle musiche da ballo più stranianti mai ascoltate. Marchiate a fuoco da un ansimante vitalismo, in controluce le sette tracce rivelano un tono agrodolce che, su capolavori come “Daa Nyinaa” e l’iconica title track, si tinge di una soffusa drammaticità. Oggi come allora, non somiglia a nient’altro.
“Maybe it’s a little sad to part ways with the wows and flutters whose contours I’d grown to know like the back of my hand”, commenta il romanticone Shimkovitz: vero, ma riassaporare quei beat in una definizione all’altezza val bene il riavvolgimento del nastro. E per chi non ne avesse abbastanza, Ata sfodera a sorpresa anche un Ep nuovo di zecca, “Batakari“, con le prime incisioni inedite a trent’anni dal fattaccio. Regalo nel regalo, un tour mondiale con tutti gli onori, inclusa tappa meneghina il prossimo giugno in apertura, pensa te, ai Big Thief.
14/11/2025



