Salute

Armi di Leonardo su nave saudita Bahri a Genova, portuali protestano

Un presidio alle 7 davanti ai cancelli del terminal GMT. Un altro alle 8 sotto la sede dell’Autorità portuale. Torna la protesta contro il transito di armamenti dal porto di Genova, il principale scalo commerciale italiano. Di nuovo nel mirino la compagnia saudita Bahri, da anni al centro di proteste per carichi diretti verso scenari di guerra. All’alba di domani (giovedì 7 agosto) è attesa la Bahri Yanbu, proveniente da Dundalk (Usa), porto spesso associato all’export bellico. Oltre a eventuali forniture belliche già presenti a bordo, a Genova deve imbarcare materiale militare prodotto da Leonardo. Lo mostrano alcune immagini scattate dai camalli: “Un sistema d’arma complesso – spiega a ilfattoquotidiano.it Josè Nivoi per l’Unione sindacale di base e il Collettivo autonomo dei lavoratori portuali – che sembra un cannone, imballato e già pronto sul piazzale del terminal”.

La destinazione è Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, paese non formalmente coinvolto in conflitti armati e quindi non soggetto alle restrizioni previste dalla legge 185 del 1990. “Non possiamo sapere dove finirà davvero questo carico – aggiunge Luca Franza, coordinatore dei delegati Filt Cgil alla Compagnia Unica –. Anche nel 2019 dichiaravano che erano generatori, non armi, e che non andavano in zone di guerra. Ma dopo il blocco verificammo tutto con la Prefettura. Avevamo ragione noi, e ottenemmo la conferma che da Genova non sarebbero più partiti armamenti”.

Il riferimento è alla mobilitazione del 2019, quando i portuali, con il sostegno delle sigle sindacali, riuscirono a bloccare un carico di armi diretto su una nave della stessa compagnia saudita. Nonostante gli impegni assunti dalle istituzioni, all’interruzione degli imbarchi di forniture militari non è mai seguito quello del transito, anch’esso previsto dalla legge. Negli anni successivi Calp e Usb hanno organizzato numerosi scioperi, presìdi e blocchi. La protesta si è allargata a un fronte eterogeneo di attivisti nonviolenti e pacifisti, collettivi e l’inusuale sostegno della Chiesa genovese, su impulso diretto di papa Francesco, che nel 2021 li aveva voluti incontrare (e incoraggiare).

Nonostante le continue sollecitazioni, l’Autorità portuale non ha mai ritenuto di dover dare spiegazioni sul ruolo che potrebbe giocare nel controllo del rispetto della legge che limita il traffico di armi, arrivando a disertare una commissione comunale convocata sul tema. “Domani alle 7 saremo di nuovo a ‘runsare’ (farci sentire) davanti ai cancelli – continua Franza –. Gli accordi del 2019 vanno rispettati”. Per i camalli non è solo una questione etica, ma anche di sicurezza e responsabilità. “Quel tipo di merce può mettere a rischio chi lavora”.

Alla mobilitazione davanti ai cancelli del terminal proclamata da Cgil-Cisl e Uil seguirà il presidio convocato alle 8 davanti a Palazzo San Giorgio da Usb e Calp, che hanno ottenuto un incontro urgente all’Autorità di sistema portuale. “È necessario fare piena chiarezza – spiega José Nivoi, coordinatore Usb mare e porti –. L’Autorità finora ha fatto finta di non vedere. Ora deve assumersi le proprie responsabilità”.

La corsa al riarmo spinta da Trump, fatta propria da Ursula von der Leyen in Europa e rilanciata dal segretario Nato Mark Rutte, si intreccia con la guerra a Gaza e alimenta i traffici militari. E all’aumento del business degli armamenti e dei carichi ‘critici’ corrisponde una maggiore partecipazione da parte dei portuali alle mobilitazioni contro questi traffici. Non solo Calp e sindacati di base, che la scorsa settimana hanno ottenuto il blocco di un container destinato all’esercito di Israele. Anche i sindacati confederali – Cgil, Cisl e Uil – dichiarano di voler fermare le operazioni sulla nave. “Non sappiamo con certezza cosa ci sia nel container – scrivono i segretari – Se si tratta di sistemi d’arma destinati a un’area colpita da conflitti, ci opporremo con ogni mezzo. Anche bloccando il carico”.

L’obiettivo del fronte dei portuali genovesi, che in questo caso appare compatto al di là delle sigle sindacali, è quello di “tenere alta l’attenzione su ogni imbarco destinato alla guerra. Soprattutto adesso – spiega Nivoi – con il genocidio in corso a Gaza e un contesto internazionale sempre più esplosivo”.


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