Lazio

“Anticipiamo di un anno il Patto sui clandestini” – Il Tempo


Pietro De Leo

La sentenza della Corte di Giustizia rivolta all’Italia sull’individuazione dei «Paesi sicuri» di rimpatrio coinvolge anche il dibattito europeo. I giudici di Lussemburgo erano stati investiti della questione dal Tribunale di Roma, dopo che quest’ultimo aveva stabilito l’illegittimità dei trattenimenti di migranti in Albania nella prospettiva di rimpatri in Paesi, come l’Egitto e il Bangladesh, che il governo italiano aveva definito «sicuri» dopo un’approfondita istruttoria.

 

Posizione non condivisa dai magistrati della Capitale. La Corte di Giustizia Ue, ieri, ha stabilito che uno Stato membro dell’Ue «può designare Paesi d’origine sicuri mediante atto legislativo, a patto che tale designazione possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo». Dunque, l’ultima parola spetterebbe ai giudici. Principio che pone un serio interrogativo circa l’agibilità politica dei governi nel decidere i propri percorsi di contrasto all’immigrazione irregolare. Ieri, però, un portavoce della Commissione europea, interpellato dall’Agi, ha sottolineato come il Patto europeo per le migrazioni, la cui entrata in vigore è prevista nel giugno del prossimo anno, si possa in realtà anticipare. Il motivo per cui si intersechino i due versanti della questione è spiegato dalle parole dello speaker Ue. «La Corte ha stabilito che la designazione di Paesi di origine sicuri da parte degli Stati membri può essere effettuata mediante un atto legislativo, a condizione che tale atto possa essere soggetto a un effettivo controllo giurisdizionale. Le fonti di informazione su cui si basa tale designazione devono essere accessibili anche al richiedente e al giudice nazionale». Dunque, «In tale contesto, la Commissione sottolinea che, ai sensi del Patto, il nuovo regolamento sulla procedura di asilo introdurrà nuove misure in materia.

 

Consentirà agli Stati membri di designare un Paese terzo come sicuro escludendo specifiche parti del paese o categorie di persone chiaramente identificabili». Si tratta di un cambiamento di disciplina che potrebbe favorire un primato dell’iniziativa politica sugli stop giurisdizionali. Il portavoce ha spiegato ancora: «Ad aprile di quest’anno, la Commissione aveva già proposto di anticipare questa possibilità, che altrimenti sarebbe entrata in vigore nel giugno 2026.

Ciò consentirà agli Stati membri di trattare le domande di asilo che potrebbero essere infondate in modo più rapido ed efficiente. Incoraggiamo il Parlamento e il Consiglio a procedere il più rapidamente possibile su questa proposta». Dunque, si potrebbe giungere a un’entrata in vigore anticipata. Era stata la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, l’altroieri, a sottolineare l’importanza della tempistica della sentenza della Corte di Giustizia Ue, proprio in virtù del patto. «È singolare che ciò (il pronunciamento n.d.r) avvenga pochi mesi prima dell’entrata in vigore del Patto Ue su immigrazione e asilo, contenente regole più stringenti, anche quanto a criteri di individuazione di quei Paesi: un Patto frutto del lavoro congiunto della Commissione, del Parlamento e del Consiglio dell’Unione Europea».

 

La sentenza, ieri, ha continuato a suscitare reazioni in maggioranza e nel governo. Fratelli d’Italia, in un post social, annuncia che «I centri in Albania continueranno a funzionare: la sentenza della Corte di giustizia Ue si rifà al quadro normativo vigente, destinato a cambiare da giugno 2026 con l’entrata in vigore dei nuovi Regolamenti europei. La linea non cambia, non arretriamo di un millimetro». Il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani, parlando agli Stati Generali di Forza Italia sul Mezzogiorno in Calabria, ha osservato che quella di Lussemburgo «è una sentenza che non ha senso. Come fa un magistrato a sapere se un Paese è sicuro o non è sicuro? È un lavoro che noi, come ministero degli Esteri, facciamo attraverso le ambasciate, i consolati. C’è un lavoro certosino. Non è che un magistrato, in un giorno, riesce a dire se un Paese è sicuro».


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