>>>ANSA/ Trump, ‘sui dazi forse intesa’. Ma l’Ue affila le armi – Altre news
(di Valentina Brini)
Tramontata l’utopia dei dazi
zero: l’Europa si muove tra l’incudine del 30% minacciato da
Donald Trump e la possibilità di un’intesa tra il 10 e il 15%.
L’ombra di un’aliquota al 20% continua però a stagliarsi sul
tavolo negoziale. Il tycoon ha rilanciato la sua dottrina
tariffaria con un’imposta generalizzata per oltre 150 Paesi “più
piccoli”, lasciando aperto uno spiraglio anche per Bruxelles
seppur a condizioni “molto diverse” dal passato. E’ su quella
formula generica – e carica di imprevedibilità – che Maros
Sefcovic e il suo team cercano in queste ore di cucire l’intesa
a Washington prima della scadenza fatidica del primo agosto.
Il sentiero resta stretto, ostacolato dai nodi irrisolti su
settori strategici continentali – dall’automotive
all’agroalimentare – e dalla nuova minaccia della Casa Bianca di
stangate anche su farmaci e semiconduttori. Per questo, forte
anche della maggiore propensione di Berlino ad agire, Palazzo
Berlaymont affila le armi studiando un terzo pacchetto di
contro-dazi sui servizi – Big Tech, ma non solo – e controlli
all’export, da attivare in caso di rottura.
Sefcovic è entrato nelle ore decisive del negoziato vedendo
separatamente Jamieson Greer e Howard Lutnick, gli uomini-chiave
della linea Trump, nel tentativo di decifrare le reali
intenzioni del tycoon. Ma “capire cosa voglia davvero” The
Donald, è l’osservazione filtrata a Bruxelles, “non è mai stato
facile” e trattare con una controparte “profondamente
ideologica” resta un esercizio diplomatico ad alta tensione. La
linea dettata da Giorgia Meloni – da settimane al lavoro insieme
agli altri leader e a Ursula von der Leyen – dal palco del
Congresso nazionale della Cisl esorta a compiere ogni sforzo per
“scongiurare la guerra commerciale con gli Stati Uniti” che, ha
sottolineato, “non avrebbe senso e colpirebbe soprattutto i
lavoratori”. Uno scenario che, secondo le stime di
Confindustria, qualora l’aliquota dovesse salire fino al 30%,
potrebbe costare all’Italia fino a 38 miliardi di euro in
esportazioni verso gli Stati Uniti, su un valore complessivo
annuo di circa 65 miliardi.
L’Europa, un tempo “brutale”, ora si sta comportando “in modo
molto gentile”, è tornato a commentare il tycoon ai microfoni di
Real America’s Voice, continuando ad alimentare le speranze
continentali di un accordo che per l’India invece “è vicino”,
mentre per il Canada appare più lontano. Di fronte
all’incertezza, gli emissari europei – stando a fonti vicine
alla trattativa – hanno già superato molte delle loro linee
rosse per evitare lo scontro diretto, offrendo anche un segnale
di distensione nel ridimensionare il secondo pacchetto di
contro-dazi da 72 miliardi di euro. Nonostante questo, è
l’ammissione, l’ombra ingombrante di un’aliquota al 20% è
tutt’altro che archiviata. La partita si gioca ancora sui
terreni più delicati di auto, farmaci e agroalimentare. E sul
primo fronte – sotto la pressione delle ammiraglie tedesche -,
Bruxelles ha messo sul piatto l’ipotesi di ridurre l’attuale
dazio del 10% sulle auto americane in cambio di un impegno
chiaro dell’amministrazione americana a non superare la soglia
del 20% sulle esportazioni europee, scendendo dall’attuale 25%.
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