>>>ANSA/ In Ue scatta il Media Freedom Act, Italia in ritardo – Altre news
(di Michele Esposito)
“Un pilastro della democrazia”.
“Una legge che farà da modello”. Quando nel marzo del 2024 il
Parlamento europeo ha approvato in via definitiva il Media
Freedom Act il plauso dei Paesi del Vecchio continente fu
apparentemente unanime. A più di un anno da quel voto, tuttavia,
il provvedimento rischia di essere un’opera incompiuta. L’8
agosto il Media Freedom Act dovrà essere applicato nella sua
interezza dai 27 ma il ritardo di tanti governi è evidente. E
l’esecutivo di Giorgia Meloni non fa eccezione. Con i nodi della
riforma della Rai e del dossier Paragon da sciogliere.
Approvato il 13 marzo del 2024, il regolamento è entrato in
vigore nel maggio dello stesso anno. I Paesi membri hanno avuto
circa 15 mesi per adeguarsi. Il rischio, dal prossimo autunno, è
di finire in infrazione. Certo, i tempi per subire le sanzioni
dell’Ue sono tradizionalmente molto lunghi e ma da settembre,
all’Eurocamera, se ne tornerà a parlare certamente. Con un
occhio particolare sull’Italia. Pd e M5S, come già hanno fatto
nelle scorse settimane, legheranno infatti due temi delicati per
il governo: il ritardo sul Media Freedom Act e il caso Paragon,
ovvero quello del presunto spionaggio nei confronti di alcuni
giornalisti.
Il Media Freedom Act limita al massimo l’uso degli spyware e
prevede che alle autorità sarà vietato esercitare pressioni su
giornalisti ed editori affinché rivelino le loro fonti, anche
mediante detenzione, sanzioni, perquisizioni negli uffici o
installazione di software di sorveglianza intrusiva sui loro
dispositivi elettronici. Il provvedimento mette inoltre in
chiaro che per fornire al pubblico la massima trasparenza tutte
le testate giornalistiche saranno obbligate a pubblicare
informazioni sui relativi proprietari e riferire sui fondi che
ricevono dalla pubblicità statale, anche nel caso in cui questi
provengano da Paesi terzi. Netto anche il cambio di strategia
nei confronti delle Big Tech. Le misure includono infatti un
meccanismo per impedire alle piattaforme online molto grandi,
come Facebook, X, o Instagram, di limitare o eliminare
arbitrariamente contenuti multimediali indipendenti.
Le piattaforme dovranno innanzitutto distinguere i media
indipendenti dalle fonti non indipendenti. I media verranno
avvisati quando la piattaforma intende eliminare o limitare i
propri contenuti e avranno 24 ore per rispondere.
Cruciale, per l’Italia, la parte che riguarda direttori e Cda
delle aziende editoriali: dovranno essere selezionati attraverso
procedure trasparenti e non discriminatorie per mandati
sufficientemente lunghi. Non sarà possibile licenziarli prima
della scadenza del contratto, a meno che non soddisfino più i
criteri professionali. Un punto, quest’ultimo, che di fatto ha
obbligato il governo ad accelerare la riforma della Rai. La
proposta del centrodestra svincola dal governo la nomina dei sei
membri del Cda della Rai, affidandola alle Camere con un quorum
che dal terzo scrutinio prevede la maggioranza assoluta. Il
governo intende portare la proposta in Aula al Senato tra
settembre e ottobre ma le opposizioni sono sul piede di guerra e
hanno bollato il ddl come un vademecum “per l’occupazione
politica” del servizio pubblico.
Il Media Freedom Act è destinato a far rumore non solo in
Italia. L’Ungheria, già sulla graticola nel contesto del
rispetto dello Stato di diritto, sarà certamente attentamente
monitorata dalla Commissione anche perché a gennaio Viktor Orban
è atteso dalla sfida del voto. E non si è escludono reazioni
Oltreoceano, visto il coinvolgimento di quelle Big Tech su cui
Donald Trump non vuole alcuna ingerenza da parte dell’Ue.
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