>ANSA-FOCUS/ Ue lavora per contare, meno veti in politica estera – Altre news
(di Mattia Bernardo Bagnoli)
Nano politico, gigante
economico. Un tempo l’Unione Europea veniva definita così e
tutto sommato le andava bene. Ora però le sfide del nostro tempo
stanno erodendo la ‘comfort zone’ dell’Ue e persino sul fronte
dei quattrini – o competitività, secondo la definizione di
Bruxelles – il quadro si fa fosco. Ma per contare di più sullo
scacchiere geopolitico resta il nodo delle decisioni prese
all’unanimità, fardello ormai anacronistico. Ecco, all’informale
di Copenaghen – in calendario per venerdì e sabato – i 27
ministri degli Esteri europei si confronteranno sulle varie
opzioni possibili per superare la logica del veto. Ed evitare,
forse, di fare la fine degli erbivori in un mondo di predatori.
“Il contesto globale in continua evoluzione e gli interessi
europei in gioco ci impongono di essere in grado di agire: la
nostra incapacità di raggiungere un compromesso sta minando
l’importanza dell’Unione a livello globale e, in ultima analisi,
la nostra stessa sicurezza”, nota una fonte diplomatica a
conoscenza del dossier. Il punto viene rubricato alla voce
“metodi di lavoro” del Consiglio Affari Esteri in chiusura dei
lavori della giornata di sabato. I trattati prevederebbero già
l’utilizzo della maggioranza qualificata su alcuni temi, come ad
esempio l’imposizione delle sanzioni. La questione di come
superare l’unanimità non è nuova ma l’intenzione è di andare
oltre la fase “teorica” di arrivare a soluzioni concrete,
sfruttando appunto ciò che i trattati già consentono senza
doverli riformare (scenario attualmente improbabile).
“Abbiamo delle proposte pronte per essere discusse con i
ministri perché, ovviamente, occorrono risultati concreti”,
afferma all’ANSA un funzionario europeo. Un gruppo di Stati
membri, a quanto si apprende, è favorevole allo scatto in avanti
poiché “se alcuni Paesi sono in grado di bloccare gli altri
l’Europa nel lungo termine si indebolisce”. La Germania, ad
esempio, avrebbe preparato un suo documento – sostenuto da un
certo numero di capitali – in cui delinea alcuni possibili
passai avanti. Si sta ad esempio valutando la possibilità di
rilasciare dichiarazioni a 26 Stati membri anziché attendere
l’ok di tutti e 27, analogamente a quanto già fatto dai leader
al Consiglio Europeo, in modo da essere più tempestivi. “Molto
spesso arriviamo con troppo poco e troppo tardi”, confida
un’altra fonte.
Naturalmente non è sfuggito, a Bruxelles, l’intervento di
Mario Draghi a Rimini sull’Europa né, tantomeno, quello della
presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola. Che l’Ue sia
entrata in una fase di stagnazione politica, dopo lo slancio
messo a segno all’indomani dell’invasione russa in Ucraina, non
è un mistero. Troppe misure restano impantanate a causa dei veti
incrociati. Dallo sblocco dei fondi del Fondo Europeo per la
Pace, ostaggio del no di Budapest, alla difficoltà crescente a
trovare la quadra sulle misure restrittive, siano esse ai danni
di Mosca o di Tel Aviv. L’Ungheria, ad esempio, continua ad
opporsi alle sanzioni contro i coloni violenti in Cisgiordania,
già adottate dal Regno Unito e persino dagli Usa (poi revocate
da Donald Trump).
Certo, la maggioranza qualificata non è una bacchetta magica.
Basta vedere cosa sta accadendo su Gaza. Dato che Israele ha
infranto la clausola del rispetto dei diritti umani prevista dal
consiglio di associazione (così come stabilito dal rapporto
stilato dalla Commissione), i 27 stanno dibattendo da mesi su
che fare. Tutte le opzioni che prevedono l’unanimità – come la
sospensione dell’accordo – non vengono neppure prese in
considerazione dall’alto rappresentante Kaja Kallas perché
sarebbero inutili. Si è scelta la strada dello stop ai fondi per
le start-up previste dal programma Horizon (circa 70 milioni)
per lanciare almeno un segnale: basterebbe la maggioranza
qualificata. Ebbene, sinora non si è trovata neppure quella.
Anche di questo parleranno i ministri a Copenaghen.
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