Ambiente

>>>ANSA/Dal carcere alla tavola, riscatto passa per gastronomia – In breve

(di Sabina Licci)
Dietro le sbarre, tra gli aromi del
lievito madre, del cioccolato fuso e della frutta c’è la ricetta
cooperativa della rinascita e del reinserimento lavorativo. In
Italia, sempre più progetti carcerari stanno facendo della
gastronomia e dell’agricoltura, non solo un mestiere ma un
potente strumento di riscatto sociale. E se un prodotto oltre ad
essere buono fa anche del bene, viene apprezzato da 7
consumatori su 10, come emerge da un’indagine del centro studi
di Confcooperative. Nelle cooperative sociali che si occupano
dell’inserimento lavorativo di persone svantaggiate aderenti a
Confcooperative Federsolidarietà, sono più di 3mila gli occupati
nell’agricoltura sociale, di cui 350 tra detenuti ed ex
detenuti.

   
Un legame forte, quello tra agricoltura, alimentazione e
inclusione e percorsi di riabilitazione sociale, con evidenti
risultati. Basti pensare che su 100 detenuti che seguono
percorsi di formazione e di inserimento lavorativo in carcere
nelle cooperative sociali, la recidiva è abbattuta a meno del
10%. E c’è ancora molto margine per far crescere l’impegno della
cooperazione sociale in questo ambito, come sottolinea Stefano
Granata, presidente di Confcooperative Federsolidarietà.

   
Emblema di questo connubio virtuoso è la Pasticceria Giotto
della Casa di Reclusione di Padova, laboratorio diventato un
modello internazionale, dove 50 detenuti danno vita a dolci che
hanno conquistato il Gambero Rosso, l’Accademia della Cucina
Italiana e il New York Times. I loro panettoni, colombe e
cioccolatini non sono solo prodotti di alta qualità ma la prova
tangibile che l’eccellenza artigianale può fiorire ovunque. Ad
Alghero, il progetto InsideOut ha creato un punto di snack
artigianali: qui i detenuti preparano panini, focacce e
tramezzini per “Il Baretto” di Porto Ferro, dove ogni panino
racconta una storia di riscatto e competenze ritrovate.

   
A Verona la cooperativa Panta Rei con i progetti “Imbandita –
La tavola del riscatto” e “Pasta d’Uomo – Mai stati così buoni”
porta la trasformazione alimentare in carcere, e nel reparto
femminile le detenute producono marmellate e conserve partendo
dagli scarti alimentari, dando nuova vita alle cose un pò come a
sè stesse. In quello maschile, invece, si impasta pane e si
sfornano dolci. “Ogni vasetto venduto è un atto di inclusione”,
sottolinea la presidente Elena Brigo.

   
A Cuneo il progetto di inclusione sociale Panatè, ‘sforna Il
pane che vale la pena’, nasce da una cooperativa dove oltre il
50% dei dipendenti sono detenuti. “Dietro ogni pagnotta c’è la
rinascita di una persona – dicono i fondatori – c’è la pazienza
della lievitazione, la cura della cottura, la concretezza di un
gesto antico che restituisce dignità”.

   

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