Annegamento, come prevenire il rischio in estate (ma non solo). Ecco tutto quello che c’è da sapere
Ogni anno nel mondo oltre 300.000 persone muoiono per annegamento. In Italia, le stime parlano di circa 300-400 decessi annui, in maggioranza bambini e giovani adulti (fonti: Global Status Report on Drowning Prevention (2024), Epicentro – ISS). Eppure, gran parte di questi episodi potrebbe essere evitata con una corretta prevenzione e manovre tempestive di primo soccorso.
La Giornata mondiale della prevenzione dell’annegamento, istituita nel 2021 da ONU e OMS, riporta l’attenzione su un pericolo spesso sottovalutato che è fra le principali cause di morte accidentale. Come spiega il Dottor Tommaso Scquizzato, medico dell’Unità di Anestesia e Rianimazione all’IRCCS Ospedale San Raffaele e Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, «l’annegamento è la quarta causa di morte nei bambini tra 1 e 4 anni, e la terza tra i 5 e i 14 anni».
I dati: chi rischia di più?
L’annegamento non colpisce tutti allo stesso modo: nei neonati e nei lattanti, gli incidenti avvengono spesso in casa, dentro una semplice vasca da bagno. Quando i bambini crescono e raggiungono l’età compresa tra 1 e 4 anni, il rischio maggiore si sposta in piscina, specialmente se i piccoli sono incustoditi. Dai 14 in su, il pericolo è in acque aperte come mare, laghi o fiumi. «Spesso gli incidenti accadono in momenti di festa o relax, dove si abbassa la soglia d’attenzione, magari durante serate o feste sul lago, occasioni in cui si bevono uno o due bicchieri in più e poi magari si fa un bagno di mezzanotte», sottolinea il Dottor Scquizzato. «Le acque dolci, apparentemente tranquille, possono essere insidiose». Spesso gli adulti sono a rischio anche per «annegamenti secondari a eventi improvvisi come infarti, malori o tentativi improvvisati di soccorso che finiscono in tragedia».
La catena della sopravvivenza: come intervenire correttamente
Nei casi di annegamento è fondamentale attivare la catena della sopravvivenza, una serie di interventi miranti a massimizzare le possibilità di sopravvivenza della vittima, costituita da cinque anelli legati tra loro – oltre a allarme precoce, manovre di rianimazione cardiopolmonare precoce (RCP), defibrillazione rapida, intervento dei soccorsi avanzato, l’ultimo ma più importante anello è la prevenzione. A partire da se stessi: «Tentare di soccorrere una persona che sta annegando senza avere una formazione adeguata è pericoloso e può trasformarsi in un secondo episodio tragico, che invece possiamo prevenire: evitando di entrare in acqua per prestare soccorso, soprattutto se si soli e se non si è stati correttamente preparati».
Se si ha a disposizione un salvagente o un oggetto galleggiante, è possibile lanciarlo alla persona in difficoltà da una posizione sicura, ad esempio da una barca. Bisogna invece allertare immediatamente i soccorsi chiamando il 112 o il 118 e cercare anche l’aiuto del bagnino o del personale addetto al soccorso nei paraggi.
Quando la persona viene riportata a riva, è essenziale iniziare subito la rianimazione cardiopolmonare in caso di arresto cardiaco. «Nei casi di annegamento, se la persona è incosciente e non respira normalmente, i soccorritori addestrati dovrebbero iniziare con cinque ventilazioni e poi proseguire con 30 compressioni toraciche alternate a 2 ventilazioni», spiega il Dottor Scquizzato. «Se invece non ci si sente in grado o non si è disposti a effettuare le ventilazioni, si possono eseguire unicamente le compressioni toraciche continue fino all’arrivo dell’ambulanza. Ogni minuto perso riduce del 10% la possibilità di sopravvivenza e di recupero neurologico. Per questo, bisogna iniziare subito la rianimazione cardiopolmonare».
Se nelle vicinanze è presente un defibrillatore, dev’essere utilizzato non appena disponibile: «non è vero che solo gli esperti possano intervenire in questa fase», precisa Scquizzato. «In realtà, anche chi è privo di formazione può fare la differenza e dare una rianimazione cardiopolmonare precoce, se guidato al telefono dagli operatori del 118. Infatti, in attesa dell’ambulanza, «tutti gli operatori telefonici delle emergenze restano in linea e forniscono istruzioni passo passo».
Dopo il soccorso: il ricovero e le conseguenze
In seguito all’episodio di annegamento, il paziente che non abbia perso i sensi viene tenuto sotto osservazione per un breve periodo. Ma se invece ha subito un arresto cardiaco – da ipossia, ovvero il sangue non ha portato ossigeno al cervello – ed è rimasto incosciente, è ricoverato in terapia intensiva. Il danno principale che i medici monitorano è quello neurologico, poiché il cervello è l’organo più sensibile alla mancanza di ossigeno. Nei casi più gravi si possono verificare danni irreversibili. «Il cervello è l’organo più vulnerabile perché i suoi danni da ipossia sono irreversibili. Dopo 10 minuti senza ossigeno, le probabilità di recupero neurologico si abbassano drasticamente».
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