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Angelo Paradiso: “Mi ritrovai in C dopo aver lasciato un procuratore importante. Oggi lavoro per tutelare i giovani talenti, l’ho giurato a me stesso”

“Lavoro per evitare che ai ragazzi succeda quel che è successo a me. L’ho giurato a me stesso”. Angelo Paradiso oggi è un agente, scova talenti (principalmente in Premier) e li segue “pure alle quattro di notte, se litigano con la fidanzata”, dice. Ma a metà degli anni ’90 il talento era lui: “Cresciuto a Ostia, col pallone ero una sorta di bambino prodigio e mi cercarono Roma, Milan e Lazio. Scelsi i biancazzurri: in quelle giovanili con Volfango Patarca c’erano ragazzi del calibro di Nesta e Di Vaio. Io facevo tantissimi gol, giocavo centravanti e poi Pileggi capì che con la velocità che avevo potevo funzionare bene anche da esterno”. Immagina il grande salto in prima squadra, ma non avviene: “E così mio padre, che mi seguiva avendo fatto anche lui il calciatore, mi suggerisce di andare a Teramo, dove c’erano Pradé e Meluso. Feci bene, nonostante mi ruppi il ginocchio due volte”.

La grande opportunità arriva nel 1998: “In un Pontedera-Teramo il Napoli aveva mandato un osservatore per un calciatore dei toscani, io feci un gol incredibile – racconta Paradiso – dove dribblai tutti e la misi in porta. L’osservatore riferì a Ulivieri, che la stagione successiva avrebbe allenato gli azzurri e peraltro era amico del mister del Teramo, Donati: vennero a seguirmi di nuovo e feci ancora un’ottima partita e così mi presero”. Un ragazzino di 21 anni in una squadra che, seppur retrocessa, ha calciatori importanti come Shalimov, Bellucci, Murgita, Scapolo, eppure riesce a mettersi in mostra da subito: “In un’amichevole estiva contro l’Inter dopo due minuti feci un tacco in area, dopo una settimana in un’altra amichevole contro la Viterbese misi la fascia di capitano, tanto che i miei amici Liverani e Trotta che giocavano contro mi dissero ‘Aò, appena arrivato già te fanno capitano?’. Ero certo si vincesse il campionato”.

Eppure quel Napoli stenta, nonostante Paradiso sia titolare fisso: firma la prima vittoria a Pescara, poi segna un gol memorabile col Monza, con un siluro da fuori area che finisce all’incrocio: “Ulivieri mi faceva giocare ovunque, anche se in alcuni aspetti era massacrante: ricordo una volta tenne me e Max Esposito per tre ore a battere una rimessa laterale. Fermò mio padre, in quella stagione, dicendogli ‘Senta, le pago io la casa, ma resti a Napoli perché altrimenti Angelo si distrae‘”. Poi la carriera di Paradiso prende una piega strana: “Io sarei rimasto a Napoli, ma non ho avuto neppure l’opportunità di parlare con Novellino: accade l’assurdo che si va alle buste col Teramo e mi prendono loro. Ma in ogni caso ero un calciatore che si era messo in luce: avevo diverse offerte, ma finii a Lecce. Qui gioco quattro partite, benissimo, poi finisco fuori rosa senza sapere minimamente il motivo. Provai a parlare a Cavasin, mi disse solo ‘Sono cose che succedono’. E da lì andai a Cesena in B, mi strappai il quadricipite, si retrocesse e mi ritrovai in C. La realtà è che avevo lasciato un procuratore importante”.

Chiusa la carriera, da talento Paradiso si mette a scovare talenti, in particolare in Premier: “Ma anche in Mls, però principalmente in Inghilterra, ci sono opportunità incredibili e poi non c’è improvvisazione: qui in un camp non può entrare gente che il calcio ce l’ha come hobby o secondo lavoro. I ragazzi vanno aiutati e tutelati: l’altra sera mi ha chiamato uno di loro preoccupato per una gara importante, io sono stato lì a rassicurarlo. Economicamente sto bene, mi interessa di più stargli accanto e trasmettergli valori”. Poi certo, magari capita di notare un campione, e Paradiso dice di avere la lista piena: “Dico solo due nomi: Max Dowman dell’Arsenal, ha 15 anni e gioca con quelli che hanno tre anni più di lui. E poi Luca WilliamsBarnett, che ricorda Kakà”.

Nessun rimpianto invece per quel che sarebbe potuto diventare Angelo Paradiso: “Chi sarei stato oggi? Con la mia fisicità e la mia tecnica sarei stato davvero forte. Avrei giocato in Premier probabilmente. Ma quel che faccio oggi mi piace: sono felice, e va bene così”.


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