Anche Raffaele Alajmo se la prende con Venezia, e passa alle maniere forti
Non c’è pace per la ristorazione veneziana: dopo gli strali di Arrigo Cipriani un altro pezzo da novanta della gastronomia passa all’attacco contro il comune.
Non c’è pace per la ristorazione veneziana, presa letteralmente d’assedio dal moto ondoso che ne impedisce il regolare svolgimento. Dopo la querela della leggenda della ristorazione Arrigo Cipriani nei confronti di Capitaneria di Porto e Comune della Serenissima, un altro pezzo da novanta della gastronomia espone con forza le sue perplessità: parliamo di Raffaele Alajmo, che proprio in quella cartolina vivente che è piazza San Marco è titolare dell’insegna del Caffè Quadri, la cui operatività è stata interrotta per l’ennesima volta lo scorso 24 settembre, nonostante una marea non certo altissima. Il motivo, a suo dire, la tarda attivazione del sistema di barriere del Mose.
La questione plateatico
Piazza San Marco, va detto, è un’area della città particolarmente sensibile al problema, e con maree di appena ottanta centimetri si trova già sott’acqua. In occasione di quest’ultima acqua alta il Mose non si è attivato prima dei novanta centimetri, rendendo la piazza impraticabile e suscitando le comprensibili ire dello storico maitre delle Calandre: “Perché il Mose non è stato sollevato prima, permettendoci di lavorare in pace? Chiediamo al Comune che ci tolga almeno la spesa dei plateatici, perché non possiamo continuare a lavorare con questi disagi”.
Già, i plateatici. L’aveva già sottolineato Cipriani e la questione, per chi è titolare di un’attività di ristorazione a Venezia è in buona parte lì: un affaccio esterno in una delle città più belle del mondo è di certo un privilegio, ma deve valerne la pena. Se il patron di Harry’s Bar era stato sul vago parlando di “pagare profumatamente” il dazio per il suo dehors sul canale della Giudecca, per il Caffè Quadri sappiamo la cifra, come riportato dal Corriere del Veneto: ben centocinquantamila euro versati annualmente nelle casse del Comune di Venezia.
Prosegue Alajmo: “a inizio anno ero consapevole che i lavori di impermeabilizzazione e innalzamento della piazza avrebbero creato dei disagi, ma sapevo che era un sacrificio per il bene di tutti. Il punto è che i tempi non sono stati rispettati e siamo circondati da cantieri, senza contare l’alta frequenza dell’acqua alta che costringe chi è alle Procuratie Vecchie a chiudere ogni volta per qualche ora l’attività”.
La risposta delle autorità
Da parte sua, Elisabetta Spitz, commissaria straordinaria per il Mose nominata nel 2019, risponde che le barriere sono state attivate secondo procedura, e che un’eventuale modifica alla loro messa in opera potrà essere discussa in un incontro programmato per il sette di ottobre, in cui parteciperanno tutti gli enti proposti. Sulla questione il portavoce dell’Associazione Piazza San Marco Claudio Vernier ha le idee molto chiare: “il senso del Mose dovrebbe essere quello di difendere Venezia dalle acque alte e mantenere la città asciutta. Tutte queste acque alte non fanno altro che allungare i tempi dei lavori sulla piazza e aumentare i costi, senza contare che non permettono a chi è qui di lavorare. Insomma, se si sollevasse più spesso il Mose anche con maree più basse ci sarebbero più risultati e meno polemiche”.
Quello di scegliere se alzare o meno le barriere è un onere che spetta agli uffici della commissaria del Mose, e ogni attivazione costa trecentomila euro: una decisione che non può quindi essere presa a cuor leggero, e dal giorno della sua “inaugurazione” è stata fatta ottantacinque volte.
Source link