Ana Corina Sosa Machado: «In Venezuela, chi alza la voce per la libertà e la democrazia corre un rischio immenso. Conosciamo tutti le atrocità di cui sono capaci i criminali oggi al governo»
Ad Ana Corina Sosa Machado (Caracas, 1991) manca «l’aria fresca e cristallina» della sua città. «La vista dell’Ávila. L’odore della mia casa, sedermi accanto a mia nonna e le conversazioni con mia madre. Mi mancano le arepas fresche e il succo d’arancia appena spremuto. Piccoli momenti che, nella distanza, sono diventati immensamente grandi», ricorda. La primogenita di Maria Corina Machado, che vive e lavora a New York, ha visitato il suo paese l’ultima volta un anno fa, «quando ho avuto la fortuna di festeggiare il Natale con la mia famiglia», dice. «Da allora non sono più riuscita a tornare, per la mia sicurezza e per quella di mia madre. Tuttavia, sono convinta che questo sarà l’ultimo Natale che noi venezuelani trascorreremo separati forzatamente dai nostri cari», ha detto qualche ora prima della marcia convocata dal leader dell’opposizione venezuelana per affermare i risultati delle elezioni presidenziali dello scorso 28 luglio, vinte da Edmundo González Urrutia con il 67,05% dei voti, secondo l’85% delle schede scrutinate da testimoni e membri di seggio. Una vittoria riconosciuta da gran parte della comunità internazionale. A più di cinque mesi dalle elezioni, il Consiglio nazionale elettorale (CNE) non ha ancora pubblicato i risultati ufficiali che dimostrano la presunta vittoria di Nicolás Maduro.
Il genero di González Urrutia, Rafael Tudares Bracho, è stato rapito il 7 gennaio da «agenti di sicurezza e di intelligence dello Stato», secondo quanto dichiarato dalla moglie, María González de Tudares. Teme per la vita di sua madre? E per la sua?
«Certo, a volte temo molto per la vita di mia madre: in Venezuela, chi alza la voce per il recupero della libertà e la difesa della democrazia corre un rischio immenso per la propria integrità fisica. Conosciamo tutti le atrocità di cui sono capaci i criminali oggi al governo. Tuttavia, sono convinta che i venezuelani siano con lei e che faranno tutto il possibile per proteggerla. La mia più grande preoccupazione è anche per la vita delle migliaia di venezuelani ingiustamente incarcerati che soffrono nei centri di tortura del chavismo. È per loro, e per le famiglie che sono state forzatamente separate da questo regime, che non ci fermeremo finché l’ultimo prigioniero politico non sarà liberato e non avremo riconquistato la nostra libertà. Questa lotta è fino alla fine».
Cosa pensa che accadrà questa settimana?
«Noi venezuelani stiamo dimostrando la nostra determinazione scendendo in piazza in Venezuela e in tutto il mondo, riaffermando il nostro impegno per la libertà e la democrazia. Domani, 10 gennaio, affermeremo la nostra sovranità accompagnando il nostro presidente eletto nel suo insediamento. Questo giorno sarà una pietra miliare della nostra lotta, ma non la fine. Dobbiamo essere preparati non solo per oggi e domani, ma anche per l’11, il 12 e per tutti i giorni che saranno necessari. Il consolidamento della democrazia e la ricostruzione del Venezuela richiedono uno sforzo collettivo e sostenuto, e noi venezuelani siamo pronti a dare il massimo per ottenere la libertà che desideriamo».
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