Amnesia ecologica, che cos’è e come si guarisce
L’amnesia ecologica causa prima distanza, poi indifferenza, demotivazione e infine immobilismo. Quanto di peggio ci possa essere se vogliamo continuare a credere di portare avanti la transizione verso un Pianeta rigenerato (e noi vogliamo!).
ne avevamo parlato all’ultima edizione del Giardino delle Idee di Vanity Fair, dove tutti gli ospiti dell’incontro sul futuro dell’Ecologia erano concordi: dobbiamo riappropriarci del rapporto con la natura, l’ecosistema di cui siamo parte integrante, e tornare ad allenare la memoria su come dovrebbe essere un Pianeta sano (e in questo l’arte può certamente venirci in aiuto).
Avevamo promesso che avremmo fatto un approfondimento dopo quei brainstorming, per non fermarci a parole «volatili» e mettere nero su bianco.
A parlare per primo del concetto di amnesia ecologica è stato Adriano Palazzi, dottorando in Scienze ambientali dell’Università degli Studi di Milano, che si occupa di studiare la biodiversità ittica dei fontanili della pianura padana: «Con amnesia ecologica intendo il processo per il quale l’essere umano si abitua al degrado ambientale, non rendendosi conto del peggioramento a cui vanno incontro gli ecosistemi. È un processo graduale, fatto di piccoli cambiamenti che nel lungo periodo portano a una situazione completamente diversa da quella iniziale. Questo avviene anche a causa del distacco che l’essere umano ha nei confronti della natura. Le nuove generazioni crescono in ambienti ed ecosistemi degradati, convincendosi che questa sia la situazione normale. Sul lungo periodo, questo porta ad un’acclimatazione alla distruzione degli habitat, al consumo di suolo e alla perdita di biodiversità».
Ad esempio, prosegue Adriano Palazzi: «Quando censisco un fontanile, mi capita spesso di trovare persone anziane nelle vicinanze. Non mi tiro mai indietro dal chiedergli cosa ci fosse in quel posto una volta. Ricevo sempre risposte precise e abbastanza nostalgiche, date dalla consapevolezza che gran parte delle specie che vivevano lì ora non ci sono più. Se chiedo a una qualsiasi altra persona cosa vive al giorno d’oggi in quel fontanile, la maggior parte delle volte non ottengo risposta. Questa è stata la mia prima esperienza diretta con l’amnesia ecologica: ho constatato che solo alcune persone, coloro che hanno vissuto quegli ecosistemi in passato, hanno idea del declino della biodiversità a cui sono andati in contro».
A fare da controcanto è stata Clara Pogliani, coordinatrice Accademia Unidee e co-fondatrice del collettivo Ci sarà un bel clima, nato per creare comunità attorno alla causa ecologica e oggi impegnato negli Stati generali dell’azione per il clima, ovvero una piattaforma per unire organizzazioni ecologiste e cittadini attorno a una proposta politica comune per un’idea di transizione in Italia al 2030. Clara Pogliani si occupa soprattutto di crisi climatica: «L’ambiente e il clima in cui siamo immersi oggi è già diverso rispetto a quello in cui abbiamo passato i primi anni delle nostre vite. Questo è ancora più valido per chi, come me, oggi è nei 30 anni. Viviamo già in un mondo “altro” rispetto a quello che abbiamo imparato a conoscere. Io credo che nella cura di questa amnesia stia in un doppio esercizio: da un lato imparare a osservare davvero l’ambiente naturale che sta attorno a noi, dall’altro correlare i cambiamenti osservati con i dati e le informazioni che ci arrivano dall’informazione scientifica».
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