Ambra Angiolini: «All’ultima puntata di Non è la Rai ero nel pieno della bulimia: ne sto scrivendo un film. A Francesco Renga mando di notte tutto quello che scrivo: abbiamo un bellissimo scambio di idee»
Se Ambra Angiolini continua a intervenire al Giffoni lo fa, come racconta a Repubblica, per un motivo molto particolare: «Magari c’è chi va sperando di insegnare qualcosa, io invece lo faccio per mettermi in crisi. Non penso mai di essere arrivata da qualche parte, mi piace andare lì e farmi smontare un po’. È un momento stupendo, una sorta di luna park: c’è un po’ tutto quello su cui io, da “imprenditrice emotiva” quale sono, lavoro ancora oggi». Il suo libro, InFame, diventerà un film, e questa è una notizia, anche se Ambra Angiolini ha scelto di fare solo la sceneggiatrice e non la protagonista: «È una storia molto personale, una ferita che mi ha insegnato tanto. Quando l’ho scritto, ho capito quanto fosse tragicomico, e a tratti pericoloso, ciò che avevo vissuto. Ora, con la distanza giusta, mi rendo conto che è uno sguardo per chi pensa – da dentro – di non poter guarire mai. Sto scrivendo da sola, come mi ha chiesto il produttore Roberto Proia. È bellissimo avere una squadra».
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Insieme alla tradizione di condividere le cose che scrive con Francesco Renga – «Le mando di notte a Francesco, il papà dei miei figli, con cui ho un bellissimo scambio di idee» -, Ambra Angiolini parla anche di quando la bulimia ha fatto per la prima volta capolino nella sua vita: «Su Instagram ho pubblicato molti articoli e servizi in cui il mio corpo, che si era trasformato, veniva preso in giro. Anche vent’anni fa, in Rai, andò in onda un servizio che ho poi ripubblicato: mi definivano “generazione XXL”. Ho scelto di non sottrarmi, di non rifiutare quella porcata. Ho deciso di affrontarla. Non l’ho mai vissuta da vittima. Mi sono ripresa tutto, anche le ferite. So che può far male a chi ha provato a fermarmi nella vita, ma non ci sono riusciti. Mi hanno solo fatto conoscere una donna più interessante di quella che avrei potuto essere se avesse prevalso la superficie».
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Il momento più difficile è stato, però, uno in particolare: «Se guarda l’ultima puntata di Non è la Rai, ero nel pieno della malattia. Ero una ragazzina. E quella malattia ti frega, se non capisci da dove arriva. Oggi, a 48 anni, posso dire che sento tutto in modo speciale. Anche cose che non mi riguardano. Forse è per questo che sono arrivata a spiegarmi quella malattia come qualcosa che parte dalla “taverna” che ho dentro, nel corpo. Non è più una malattia, oggi è un aggettivo», dice Ambra Angiolini, che aggiunge di essersi scoperta bulimica la prima volta nella libreria di un aeroporto. «Mi sentivo strana ma funzionavo, avevo successo. Prendo un libro, Tutto il pane del mondo di Fabiola De Clercq. Lo apro. Leggo: “Vomito tutto quello che mangio”. Mi spavento. Lo chiudo. Lo compro. Lì ho capito. Ho dato un nome a quel male. Ero un animaletto tirato fuori da una tana, buttato in mezzo agli aeroporti, alle stazioni. Gigantesco tutto, mentre io a malapena mettevo insieme un congiuntivo. Anzi, li sbagliavo. Il momento più imbarazzante della vita: in diretta, Boncompagni in auricolare, sbaglio un congiuntivo e lui: “Ambra, con tutti i soldi per farti studiare…”, e continua a mangiare una brioche; perché era così: tenero e crudele allo stesso tempo. Ma il bello è che alla fine ridevamo. In regia, con il pubblico. Non c’erano i social. Altrimenti sarei stata distrutta».
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