Alois Brunner, il nazista risucchiato dalle prigioni segrete di Assad
Il volto del male presenta fin troppo spesso tetri tratti che richiamano le follie lombrosiane. Basta contemplare per qualche istante il sorriso forzato di Alois Brunner, il criminale nazista fuggito al processo di Norimberga per oscure ragioni e che trovò la morte in un seminterrato di Damasco all’età di 89 anni. Un mistero rimasto seppellito come un vecchio dossier segreto per decenni. Ora, col crollo del regime di Assad figlio, i punti si uniscono e le informazioni vengono disseppellite dall’oblio protratto dall’omertà e dal segreto tipico dei Mukhabarat: tutti sapevano del “tedesco”, protetto dalla vendetta degli israeliani, e temuto dai dissidenti che temevano di finire sulla sua sedia degli interrogatori.
Un “segreto” ormai noto
A rivelarlo fu anni fa una rivista francese, Revue XXI, che nel 2017 condusse un’approfondita inchiesta ed entrò in possesso dell’informazione. Al tempo si scrisse diffusamente dello “squallido destino” di Alois Brunner, l’ufficiale delle SS che veniva definito da Adolf Eichmann l’uomo migliore che fosse finito alle sue dipendenze e che veniva descritto da chi lo aveva conosciuto come un “nazista della prima ora (…) un ometto di scarsa levatura, malinconico e nervoso, gracile, con le gambe storte, gli occhi nerissimi, le labbra grosse e la voce monotona“. Un uomo qualsiasi che però venne messo a capo del campo di internamento di Dracy e fu responsabile della deportazione 120mila ebrei, 23mila dei quali erano francesi e 46mila austriaci. Per tutti la destinazione finale doveva essere Auschwitz.
L’uomo che descriveva gli ebrei come “agenti del diavolo, spazzatura umana” e su richiesta dell’ideatore dell’Endlösung aveva trovato una “soluzione” per meccanizzare lo sterminio sistematico del popolo ebraico, un’operazione straziante, che sul Fronte orientale costringeva SS e la polizia d’ordine, chiamata Orpo, a perpetrare fucilazioni di massa fino all’esaurimento nervoso degli ufficiali – che in breve tempo erano oggetto di nevrosi, disturbi mentali, crisi depressive e spesso si liberavano dall’orrendo compito attraverso il suicidio – al termine del conflitto era riuscito a far perdere le proprie tracce nonostante comparisse in cima alla lista dei nazisti ricercati da Simon Wiesenthal e dai suoi “cacciatori”.
Un altro Brunner
Dopo la caduta di Berlino, e la resa incondizionata della Germania nazista, Alois Brunner approfitta della condanna a morte di un omonimo per confondersi in quella gigantesca massa di corpi in transito che erano i rifugiati della Seconda guerra mondiale in un Paese raso al suolo dalle bombe.
Attraverso il nome di un cugino si fece assumere come autista di camion dall’Esercito statunitense. Nel 1947 iniziò a lavorare in una miniera di carbone a Essen, almeno fino al 1953, quando scappa in Egitto con il passaporto di un certo Georg Fischer. Prima di vendere le sue “qualità sadiche” a Nasser, decide di fuggire a Damasco dove, nel 1966, diventa un fidato di Hafez al-Assad e dei suoi.
Impartirà a loro lezioni di una materia ben conosciuta dalla Gestapo nazista: le tecniche di sorveglianza e di tortura. Qualcosa che avrebbe aiutato il regime a istituire un efficace sistema di repressione dei dissidenti politici. La Siria aveva già offerto rifugio a Franz Stangl, ex comandante dei campi di sterminio di Sobibor e Treblinka.
Sulle tracce di un criminale di guerra
Come hanno ricordato Andrea Nicastro e Guido Olimpio sul Corriere della Sera, Robert Fisk, famoso reporter di guerra britannico, lo aveva “incrociato a Damasco” ma non era riuscito ad avvicinarlo perché era contornato da guardie del corpo, un seguito di “sei o otto uomini” secondo quanto riportato in seguito da diverse fonti. Il regime degli Assad gli aveva poi impedito qualsiasi contatto, ma aveva appuntato un indirizzo “Via George Haddad 7“.
Secondo alcune informazioni diffuse in passato, il possesso di un passaporto falso emesso dalla Croce Rossa e il suo transito a Roma prima di giungere in Egitto presenterebbe delle “analogie associabili” a quelle dei nazisti che vennero evacuati attraverso la cosiddetta “Ratline“. Secondo alcune fonti, la Cia era a conoscenza del luogo in cui si trovava Brunner. Come lo fu poi il Mossad.
I primi a dargli la caccia furono comunque gli stessi francesi che lo avevano condannato in contumacia per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, ma soprattuto per essersi prestato alla causa del Fronte di liberazione nazionale algerino reperendo armi per combattere contro il dominio coloniale francese. Ragione per cui era entrato anche nella lista nera dei servizi segreti francesi che attentarono alla sua vita con un pacco bomba nel 1961. Altri tentativi di eliminazione attraverso pacchi bomba giunsero dai servizi segreti israeliani, che non riuscirono mai ad ucciderlo.
Secondo le rivelazioni dei suoi carcerieri, Brunner sarebbe stato “costretto” a trascorrere il resto della sua vita come se fosse stato agli “arresti domiciliari” nel seminterrato dove trovò la morte. “Privo di un occhio e di quattro dita perse nei ripetuti attentati, invecchiò scegliendo tra una patata e un uovo come alimenti fino a consumarsi lentamente e morire all’età du 89 anni“. Vittima dello stesso regime che aveva contribuito a proteggerlo dagli israeliani prima di considerarlo mera “merce di scambio“, secondo alcuni documenti della Stasi, e per questo scegliere di segregarlo in quella prigione seminterrata dove lo raggiungeranno lo sconforto, le lacrime di un dubbio pentimento, e la morte nel 2001.
Dopo, soltanto il silenzio, fino alla scoperta dello squallido epilogo di una vita che, a voler trovare nel destino l’applicazione della legge del taglione dell’antica Babilonia, venne scandita dalla tortura.
Source link