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“Allarme West Nile? Monitoriamo questo virus da maggio. La zanzara è il vero nemico, ma cavalli e uccelli sono utili per la prevenzione”: l’analisi del prof. Scarlato

C’è una crescente preoccupazione, soprattutto nel Lazio e in particolare nella zona di Latina, per l’emergere di nuovi casi di infezione da virus West Nile. In alcuni quartieri periferici di Cisterna, la sera si evita di uscire di casa. “Mi dispiace che si sia generato questo clima d’inquietudine – ci racconta il dottor Giuseppe Scarlato, dirigente veterinario esperto in igiene pubblica e già ricercatore presso il Ministero della Salute – ma i veterinari lavorano alla sorveglianza di questo virus già da maggio. E non ci aspettavamo un inizio così anticipato dell’ondata estiva, ma evitare del tutto sagre serali o feste popolari rischia di essere una reazione eccessiva. Serve consapevolezza nel protegger dalle punture se stessi e i soggetti già fragili”.

I dati attualmente a nostra disposizione ce li fornisce l’ISS. Sappiamo che il 21 luglio si è registrato il primo decesso in Italia nella provincia di Latina. A perdere la vita è stata una donna di 82 anni, ricoverata il 14 luglio all’ospedale di Fondi per complicazioni neurologiche legate all’infezione. In ogni caso, il Ministero della Salute invita alla calma e sottolinea che non ci sono motivi di allarme. “Sono state attivate tutte le misure previste dal Piano nazionale di prevenzione, sorveglianza e risposta alle Arbovirosi 2020-2025 – si legge in una nota – e l’andamento dei casi è in linea con quello degli anni precedenti”. Di fatto, sappiamo che prima del 21 luglio, dall’inizio dell’anno in Italia si sono verificati 10 casi di infezione da West Nile virus e 2 decessi: oltre alla donna di Fondi, anche un uomo di 75 anni della provincia di Novara vittima del virus a marzo. Una circolare del Ministero della Salute inviata alle Regioni invita comunque a non abbassare la guardia: occorre “potenziare la sorveglianza dei casi umani di infezione da West Nile Virus e Usutu Virus – si legge nella nota – e “tutte le attività di sorveglianza integrata veterinaria”. Il documento, in particolare, ricorda a medici e strutture sanitarie l’importanza della tempestività del riconoscimento dell’infezione e della comunicazione alle autorità competenti.

Non sottovalutare i sintomi

La West Nile è una malattia trasmessa dalle zanzare comuni, le Culex, e si manifesta nella maggior parte dei casi in modo asintomatico o con sintomi lievi, in circa il 20% dei casi: febbre, mal di testa, nausea, vomito, linfonodi ingrossati, sfoghi cutanei. Ma in circa l’1% dei casi può evolvere nella temuta forma neuro-invasiva, con complicazioni neurologiche serie, soprattutto tra anziani e persone immunocompromesse e bambini.

Diagnosi

Come spiega l’ISS, la diagnosi viene prevalentemente effettuata attraverso test di laboratorio (Elisa o Immunofluorescenza) effettuati su siero e, dove indicato, su fluido cerebrospinale, per la ricerca di anticorpi del tipo IgM. Considerando che questi anticorpi possono restare per periodi anche molto lunghi nei soggetti malati (fino a un anno), la positività a questi test può indicare anche un’infezione pregressa. Inoltre, i campioni raccolti entro 8 giorni dall’insorgenza dei sintomi potrebbero risultare negativi, ecco perché è consigliabile ripetere a distanza di tempo il test di laboratorio prima di escludere la malattia.

Prevenzione

La prevenzione è la vera e più efficace strada da percorrere, soprattutto perché non esiste un vaccino per la febbre West Nile. Attualmente sono allo studio dei vaccini, ma per il momento la prevenzione consiste soprattutto nel ridurre l’esposizione alle punture di zanzare negli umani e nei cavalli. “A preoccupare – spiega Scarlato – è che alcune regioni, come il Lazio o le isole, sono meno preparate organizzativamente rispetto ad altre, come il Veneto o il Friuli, dove esistono già piani informativi per i cittadini, centri anziani e territori rurali. Sottolineo tuttavia che in cavalli e uomini la viremia è scarsa e di breve durata”.

La zanzara è il vero nemico

“L’Italia è endemica, il ciclo rurale del virus non si può interrompere”, chiarisce Scarlato. “Ma possiamo e dobbiamo intervenire sul vettore: la zanzara”. Le zanzare disidratate, specie in estati secche e senza piogge come questa, si spostano per concentrarsi in aree con ristagni d’acqua anche minimi: tombini, canali di scolo, sottovasi, contenitori abbandonati, intercapedini umide. “Non bisogna pensare che il rischio sia solo nelle lontane campagne. Le città, soprattutto le periferie, dove le persone restano anche d’estate e se la disinfestazione è più carente, sono zone critiche perché dimenticate”. La sorveglianza si applica anche con strumenti come “le trappole entomologiche alla Co2: i servizi veterinari le collocano nei territori a rischio permettendo di monitorare la presenza di zanzare infette – continua Scarlato –. Una volta accertata la positività delle catturate, si attiva un piano di indagine. Ma occorre anche bonificare, asciugare i tombini, disinfestare non solo i parchi, ma le strade alberate fino ai cestini della spazzatura”. E probabilmente impiegare maggiormente animali predatori tipici come i pipistrelli.

Gli animali sentinella e l’approccio One Health

In parallelo alla vigilanza entomologica, esiste anche quella ambientale: “Se impossibilitati a monitorare tutta l’avifauna selvatica suscettibile, vengono in aiuto gli allevatori per testare il siero dei tanti cavalli: se un cavallo manifesta febbre, tremori o sonnolenza, dopo diagnosi differenziale io opterei che non sia stato vaccinato dai proprietari per la West Nile”, continua l’esperto. Il virus replica nell’organismo del vettore che lo trasmette agli uccelli (fungono da serbatoio). Le specie migratrici possono coprire lunghe distanze e venire a contatto con altre zanzare che proseguono il ciclo. L’uomo resta un ospite accidentale, non trasmette il virus ma rimane ignaro e non deve donare il sangue se dubbioso. È questo il momento storico, secondo Scarlato, “per rilanciare un’azione sinergica ispirata all’approccio scientifico One Health: integrare dati climatici, faunistici, epidemiologici e sanitari per prevenire futuri focolai”. In particolare, monitorare i flussi di uccelli migratori, le specie che attraversano il nostro Paese e che, per esempio l’anno prossimo, potrebbero essere diverse: “Il piano di sorveglianza attuale è stato concepito nel 2019. Ma oggi le condizioni climatiche sono cambiate. Non possiamo più considerare l’estate conclusa a settembre: il rischio è che può protrarsi fino a novembre permettendo comunque il reintrodursi del virus da zone tropicali! Spetta alle Regioni ‘adattare’ i piani delle strategie nazionali e sorvegliarne la loro applicazione nei territori vulnerabili”.

Gesti semplici, impatto concreto

Tuttavia, la prevenzione inizia già da casa nostra: “Svuotare secchi e sottovasi, usare zanzariere, vestirsi con abiti lunghi dal tramonto all’alba. E se si nota un uccello morto, un merlo, gazze o cornacchie, va segnalato all’istituto zooprofilattico più vicino. È un piccolo gesto, ma può fare la differenza per alterare il ciclo di trasmissione”. E poi serve, anche qui, buona comunicazione. “La divulgazione scientifica è fondamentale a tutti i livelli. Se possiamo diffondere informazioni semplici ma efficaci come svuotare un sottovaso, aiuta la salute pubblica di uomini e animali. Non è allarmismo, è buonsenso”, conclude Scarlato.


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