Ambiente

Alla scoperta dell’Azienda Gentile: ecco come si costruisce l’impresa del futuro


Conciliare le nuove esigenze dei lavoratori (e di quelli più giovani in particolare) senza pregiudicare la stabilità delle operation, cavalcare l’onda della trasformazione digitale per dare impulso alla crescita facendo leva sulla formazione e sul reskilling, attrarre i talenti e aumentare il livello di engagement dei dipendenti avendo maggiore cura del benessere della persona: i tasselli che compongono l’impresa “perfetta” del post pandemia sono tanti. E non così facilmente accessibili. Il tema da affrontare è noto e riguarda il cambiamento di paradigma del lavoro in azienda, che rispetto all’impianto fortemente gerarchizzato del recente passato si nutre oggi di altre componenti strategiche, a cominciare da un bilanciamento più equilibrato fra attività professionale e vita privata.

In questo mutato scenario, le aziende e i rispettivi leader hanno il compito di rispondere al cambiamento ritagliando per l’organizzazione un vestito nuovo, capace di reggere alle sollecitazioni di fenomeni come la Great Resignation o il Quiet Quitting e di essere facilmente indossabile anche dalle figure con skills digitali più sviluppate. I manager, in altre parole, sono chiamati a gestire una tappa fondamentale – nonché necessaria – dell’evoluzione del lavoro e del welfare aziendale, nonché dei modelli di leadership, rimettendo la persona al centro di ogni processo.

Come possono vincere questa sfida? Walter Ruffinoni, Ceo di Ntt Data in Italia, ha provando a rispondere a questa domanda in un libro, “L’Azienda Gentile. Come Bellezza, Gioia e Benessere plasmeranno le aziende del futuro” (Mondadori, 2023), che prova a disegnare nuovi contorni dell’essere impresa, un’impresa che deve riflettere il principio dell’innovazione tecnologica al servizio dell’essere umano e le cui peculiarità sono la capacità di essere accogliente, generosa, aperta e in grado di creare una comunità di persone motivate.

I cambiamenti innescati dalla pandemia

«Una volta superata l’emergenza Covid 19 – spiega l’autore al Sole24ore – siamo tornati a vivere normalmente ma al lavoro non ci siamo tornati come prima, e questo fenomeno l’ho osservato personalmente nella mia azienda. Il motivo? Sono cambiate parecchie dinamiche, complice anche l’entrata in campo della Gen Z: se la pandemia ha messo le persone davanti alle grandi priorità della vita, la tecnologia ha scardinato due fattori chiave come spazio e tempo, inteso come orario di lavoro». La fotografia scattata da Ruffinoni mette quindi a fuoco una “disruption” che ha messo in discussione un modello consolidato quale era la “produttività da ufficio” a beneficio dell’attività condotta da remoto, oscurando la logica del “command and control” per favorire un approccio basato sulla fiducia e sulla responsabilizzazione dei lavoratori rispetto ad obiettivi prefissati.

Chi, all’interno dell’organizzazione, deve gestire questa complessa e delicata fase di transizione? L’opinione dell’AD di NTT Data, azienda in cui il rapporto fra lavoro in presenza e da remoto è di 1 a 4 (sono quattro giorni di remote working a settimana), è in proposito assai esplicita. «Il Ceo non può fare da solo ma deve fare da abilitatore per coinvolgere tutti gli altri soggetti dell’azienda. I leader giocano in questo processo un ruolo decisivo, anche in considerazione del fatto che una parte del middle management è ancora convinto che si debba tornare al modello della presenza alla scrivania dalle 9.00 alle 18.00: vincere la sfida di essere architetti della propria carriera abbracciando il cambiamento richiede quindi uno step di crescita significativo».


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