Alex Cotoia è libero, fu legittima difesa: tutta la storia del ragazzo che ha ucciso il padre per proteggere la madre
La prima volta che il suo nome è finito in una cronaca non si chiamava Alex Cotoia, ma Pompa, il cognome del padre. Proprio per averlo ucciso con 34 coltellate il ragazzo, appena 18enne, era stato arrestato. I fatti risalgono al 30 aprile del 2020. Cinque anni dopo Alex è definitivamente libero.
Nel tardo pomeriggio di mercoledì 29 ottobre la Cassazione ha dichiarato «inammissibile» il ricorso della Procura generale e quindi confermato la sentenza della Corte d’assise d’appello di Torino secondo cui Alex ha ucciso il padre, Giuseppe Pompa, 52 anni, per «legittima difesa».
«È vero?», ha chiesto tre volte. «Finalmente è finita. Sono felice. La mia vita adesso può ricominciare». Sono le parole del giovane a cinque anni e mezzo dall’omicidio del padre di cui ha rifiutato il cognome tre anni fa, scegliendo quello della madre. Ecco la ricostruzione di questi cinque anni, fra indagini e processi.
I fatti
Era il 30 aprile del 2020. Alex aveva appena 18 anni. Quella sera ha ucciso il padre, Giuseppe Pompa, per difendere la madre, Maria, il fratello, Loris, e se stesso. L’uomo, spesso ubriaco, era da tempo violento nei confronti della moglie e degli figli. Anche quella sera, hanno testimoniato, li aggredì. Per difendere la madre prima si è frapposto fra lei e il padre ha iniziato a colpire il genitore: lo ha fatto 34 volte con sei diversi coltelli. I processi hanno ricostruito il clima di violenza e prevaricazione in cui la famiglia aveva vissuto. Aveva subito raccontato l’accaduto ai carabinieri chiamati: «Ho ucciso mio padre». «L’ho fatto per istinto di sopravvivenza», ha detto e ribadito nei vari gradi di processo.
Il giorno dell’omicidio, Giuseppe Pompa aveva spiato la moglie al lavoro e si era infuriato perché un collega le aveva appoggiato una mano sulla spalla. «Dopo averla chiamata 101 volte al telefono, non appena mia madre era rientrata a casa, lui l’aveva aggredita, sembrava indemoniato», avevano raccontato Alex e Loris. «Pensavamo che ci avrebbe ammazzato tutti».
Il processo di primo grado
In primo grado Cotoia venne assolto. I giudici, nel novembre 2021, stabilirono: «Alex si è trovato nella difficile scelta di decidere se vivere o morire». La Corte d’Assise, presieduta da Alessandra Salvadori, dopo sei ore di camera di consiglio, ha emesso il verdetto di assoluzione. Il pm Paolo Aghemo era stato «costretto a chiedere 14 anni di carcere», proprio perché le norme per il codice rosso escludono la concessione di attenuanti a chi uccide un familiare. E la Procura aveva chiesto ai giudici di portare il caso davanti alla Corte costituzionale. Le possibili ipotesi di sentenza erano due: 14 anni o l’assoluzione, per legittima difesa o perché il fatto non costituisce reato, come ha poi deciso la Corte. L’avvocato Claudio Strata, che ha difeso Alex Pompa, ha fatto ascoltare ai giudici oltre 9 ore di registrazioni con le minacce e le urla del padre violento. «Vi rendete conto che cosa ha vissuto Alex? Non poteva studiare, non poteva dormire, non poteva vivere. Ogni sera come lui stesso ha raccontato, si coricava solo dopo aver abbracciato a lungo sua madre temendo di risvegliarsi e non trovarla più viva».
L’appello
In appello la sentenza venne riformata e Alex condannato a 6 anni e 20 giorni di reclusione. Siamo al maggio del 2023. Per i giudici dell’appello non c’è stata legittima difesa e quindi è stato un omicidio. Questo dice la Corte, ma aggiunge che 14 anni di carcere, quello che prevederebbe la legge non concedendo attenuanti nei casi di omicidio di un familiare, sono troppi e demanda alla Corte Costituzionale la decisione della pena.
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