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Al pronto soccorso di Lodi la situazione è precaria: niente privacy, monitor rotti e posto per pochi

“Di questi monitor non si capisce un c….”. I display sono quelli del pronto soccorso di Lodi. Le parole quelle dell’infermiera al triage alla quale ho chiesto informazioni per comprendere quanti fossero i pazienti in attesa in codice verde. Quando nei giorni scorsi mi è capitato di dover accompagnare un senzatetto al PS, al mio arrivo alle 12,38 il monitor segnalava tre pazienti in attesa con codice azzurro e quattro verdi, più altri due non ben identificati. Stessi numeri per le persone in trattamento.

La questione è che dopo circa un’ora nulla era cambiato. E qui sta il primo problema. Se i monitor dei pronto soccorso (e non è la prima volta che mi capita) non funzionano chi attende il suo turno – in una situazione di disagio – si irrita, si spazientisce. Ma perché nemmeno l’infermiera che mi dice di non capirne nulla interviene?

A pagarne le spese, infatti, è lei stessa che si ritrova pazienti che ogni cinque minuti le chiedono quanto debbano attendere. A Lodi, poi, il triage è una sorta di sportello delle poste dove tutti ascoltano i malanni degli altri che poi – pur avendo un codice (45-55) – vengono chiamati per cognome quando devono effettuare la visita. Certo, c’è una striscia rossa da non superare, ma l’infermiera per poter farsi sentire (soprattutto da certe persone anziane) deve alzare il tono, così da rendere pubblica la vita di tutti. Alla faccia della privacy!

E la sala d’attesa? Non c’è nemmeno posto per tutti. Più che un pronto soccorso della Lombardia sembra di essere in un ambulatorio di Baile Tusnad, in Romania. Tutti lì davanti al monitor che non funziona e a una televisione che trasmette a ciclo continuo un solo canale senza che si senta l’audio (a che servirà?). Forse basterebbe mettere qualche giornale e qualche libro su un tavolino per migliorare la qualità del servizio, no?

Non parliamo dei tempi e della burocrazia. Per la somministrazione di immunoglobuline a seguito di un lieve morso di cane, abbiamo atteso quattro ore. Ma c’è di più. Al pronto soccorso non ti fanno più l’antitetanica ma devi andare all’Asl. Vogliamo poi leggere il verbale? Alla domanda sulle allergie il mio amico senzatetto ha risposto simpaticamente “alle mele” per dire che non le ama e la solerte infermiera l’ha scritto nero su bianco.

Ora so bene di non aver scoperto l’acqua calda, ma forse vale la pena che ogni cittadino non si scoraggi di denunciare ciò che vede e subisce, perché ho l’impressione che il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ad un pronto soccorso nei panni del paziente e non di politico non ci sia mai andato; così l’assessore regionale Guido Bertolaso e forse nemmeno il direttore dell’ospedale di Lodi Guido Griffagnini. Al contrario, se avessero provato la mia stessa esperienza, credo che quei monitor funzionerebbero, quell’infermiera saprebbe spiegarmi come sono organizzati, quel triage garantirebbe la privacy, quella sala d’attesa avrebbe qualche poltroncina in più e forse per un’iniezione non si attenderebbero più quattro ore.

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