Al Jazeera: 17 morti nella notte a Gaza City
Diciassette palestinesi sono morti a Gaza City negli attacchi notturni portati avanti dalle forze armate israeliane. Lo riporta Al Jazeera che cita fonti mediche. Il bilancio include sei persone uccise dopo che le forze israeliane hanno bombardato una scuola, la Al-Farabi, trasformata in rifugio per sfollati a ovest di Gaza City. Sempre secondo l’emittente qatarina, nel quartiere Sheikh Radwan di Gaza City, almeno altre nove persone sono state uccise, tra cui quattro bambini, dopo che le forze israeliane hanno attaccato una tenda e una casa, e altri due bambini sono stati uccisi quando l’Idf ha preso di mira una tenda che ospitava sfollati nel quartiere Remal di Gaza City.
Dall’latra parte, due razzi sono stati lanciati dalla Striscia di Gaza verso comunità israeliane poco prima delle 7, ora italiana. Uno dei razzi è stato intercettato, mentre il secondo è caduto in un’area disabitata. Lo rende noto l’esercito israeliano (Idf) sul suo canale Telegram. I razzi hanno fatto scattare le sirene nella città di Netivot e in diverse comunità circostanti. Il servizio di emergenza Magen David Adom, spiega The Times of Israel sul suo sito, ha affermato che non ci sono state segnalazioni immediate di feriti. Non sono stati segnalati danni.
L’emittente pubblica israeliana Kan cita una fonte vicina al premier Benyamin Netanyahu, secondo cui Israele sarebbe disposto a sospendere la sua offensiva pianificata contro Gaza City in favore di un “vero accordo” che ponga fine alla guerra e liberi gli ostaggi, ma al momento non è stata presentata alcuna offerta del genere. Lo scrive Times of Israel. Il commento arriva in risposta alle notizie diffuse dai media israeliani secondo cui Stati Uniti, Qatar ed Egitto si stanno preparando a proporre un accordo onnicomprensivo che riporti a casa tutti gli ostaggi, dopo che il governo di Netanyahu ha dichiarato che non avrebbe più preso in considerazione accordi parziali.
ieri due appelli hanno scosso l’opinione pubblica. Da Venezia l’attore Toni Servillo che ha ricevuto la Coppa Volpi per il suo ruolo di presidente della Repubblica italiana nel film La grazia di Paolo Sorrentino: «Credo che il presidente che interpreto chieda al pubblico di diventare umani. Si tratta di un politico e abbiamo bisogno di una politica che non dimentichi l’umanità». Dal palco è risuonato con forza il suo appello per Gaza: “Consentitemi, a nome di un sentimento che tutto il cinema italiano prova, di esprimere ammirazione per coloro che hanno deciso di mettersi in mare con coraggio, di raggiungere la Palestina e di portare un segno di umanità in una terra dove quotidianamente e in maniera crudele la dignità umana è vilipesa”.
Sempre da Venezia arriva il messaggio del cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme,trasmesso durante la cerimonia di premiazione: “Questa guerra deve finire quanto prima, lo sappiamo. Non ha più senso continuare. È tempo di fermare questa deriva”. Un intervento breve ma potentissimo sulla tragedia nella Striscia di Gaza, che ha portato sul palco del Lido il peso di una terra lacerata e un invito radicale: ritrovare, attraverso la cultura, un linguaggio che non uccida ma apra alla possibilità della pace. Nel cuore di una delle manifestazioni artistiche più importanti del mondo, è risuonato l’eco di un dolore che non ha bandiere, ma volti. “Stiamo vivendo – ha detto Pizzaballa – un momento drammatico, difficile, divisivo”. E il riferimento è chiaro: il conflitto israelo-palestinese, che nella quotidianità della cronaca si traduce in immagini di morte e distruzione, ma che nella riflessione del patriarca di Gerusalemme affonda le radici nella corrosione del linguaggio, nella disumanizzazione dell’altro. “Siamo talmente pieni di dolore che sembra non esserci spazio per il dolore dell’altro”, ha detto. Un passaggio centrale del messaggio, forse il più forte, è quello in cui il cardinale Pizzaballa ha denunciato la violenza come conseguenza diretta di una lunga stagione di parole avvelenate: “La violenza che vediamo è anche il risultato di anni di linguaggio violento e de-umanizzante. Se tu de-umanizzi l’altro con le parole, poi il passaggio alla violenza fisica è solo questione di tempo”
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