Aiuto, arrivano gli influencer virtuali. Costano meno e ai brand piacciono di più: ma è un bene?
Se usate un chatbot IA per la ricerca su Internet come Perplexity, noterete che uno dei termini più cercati è Aitana Lopez. Ma chi è? È un’influencer, ma di un tipo un po’ particolare, in quanto è stata creata utilizzando l’IA generativa, sia per il suo aspetto che per i contenuti dei suoi post.
E non è un caso isolato: sono centinaia gli avatar digitali seguiti da milioni di persone e pagati migliaia di dollari a post, tanto che gli influencer umani potrebbero essere le prime vittime della nuova era dell’IA. Assurdità? Non si direbbe.
Con un’economia da 21 miliardi di dollari in continua crescita, gli influencer sono un gigante dei nostri giorni, e non sorprende che per molti giovani il sogno sia di emulare personaggi del calibro di Chiara Ferragni. D’altronde è comprensibile, ma lo sviluppo vertiginoso dell’IA ha suggerito ad alcuni esperti di marketing un altro approccio.
Diana Núñez, co-fondatrice dell’agenzia con sede a Barcellona The Clueless che ha creato Aitana ha dichiarato di essere rimasta sorpresa dalle cifre guadagnate dagli influencer e ha pensato di crearne uno.
Così è nata Aitana, che in poco tempo ha raggiunto 200.000 follower, pubblica selfie dai concerti e dalla sua camera da letto ed è pagata da marchi come Victoria’s Secret o Olaplex (un’azienda che produce prodotti per i capelli) circa 1.000 dollari a post.
Uno dei primi influencer virtuali di questo tipo, Lil Miquela, è ancora più dirompente, con contratti da centinaia di migliaia di dollari con aziende come Burberry, Prada and Givenchy, mentre H&M ne ha creata una in casa, Kuki, in grado di raggiungere più utenti di un influencer in carne e ossa, ma con un costo inferiore del 91%.
Gli influencer virtuali, quindi, costano meno, e anche se influenzano meno la vendita di prodotti aumentano la consapevolezza e il richiamo verso il marchio. Ma soprattutto non presentano le controindicazioni degli influencer in carne e ossa, con i possibili problemi dovuti al loro comportamento o esternazioni.
Ma sono finti, direte.
Questo è un aspetto interessante. Aitana dichiara apertamente di essere virtuale (usa l’hashtag #aimodel), ma ai suoi follower non interessa, e sono diversi quelli che chiedono di incontrarla di persona. In realtà, a parte in India, da nessuna parte c’è una legge che obbliga di indicare che un influencer è virtuale o meno, e molti usano il termine, piuttosto vago, #digitalinfluencer.
C’è però un punto da considerare: da quello che si può vedere, gli influencer virtuali hanno una forte connotazione regionale o etnica, il che può sembrare controintuitivo per un fenomeno globale. Come vedete da questo grafico su Google Trends, Aitana Lopez è molto popolare in Spagna, dov’è “nata”, e in Italia.
Lil Miquela, considerata da molti di etnia mista, ha quasi 3 milioni di seguaci e spazia dagli Stati Uniti all’Asia e all’America Latina, e la società The Clueless che ha creato Aitana vuole aggredire questo mercato con una “messicana curvy” di nome Laila.
Quindi si studiano personaggi virtuali a tavolino per andare a incrociare un determinato tipo di pubblico. Un nuovo tipo di marketing, verrebbe da dire, e sebbene queste agenzie affermino che il loro obiettivo è favorire l’inclusività, per molti influencer in carne e ossa dietro c’è solo la volontà di fare soldi. Sicuramente, ma è diverso da quello che fanno i veri creatori?
Consideriamo un altro aspetto: il richiamo sessuale. Guardando le immagini di Aitana Lopez, la vedrete spesso in pose o abbigliamento dal forte richiamo sessuale, e per questo è stata criticata. La risposta è stata che riflette né più né meno quello che i normali influencer fanno sui social.
Difficile ribattere, basta aprire Facebook, Instagram o TikTok e si capisce come si è bombardati da immagini di questo tipo. Il punto è un altro: anche se dovessero dichiarare apertamente di essere virtuali, agli utenti interessa veramente che lo siano? In fondo il successo degli influencer è dato dalla loro capacità di trasmettere sincerità, ma tutti sanno che quello che si vede nei social non è la realtà (o comunque una versione molto edulcorata).
Certo, la difficoltà di capire se si sta guardando un’immagine vera o finta segna una linea di demarcazione piuttosto importante, ma è un fenomeno che non riguarda solo i social, e per questo è interessante. E inquietante, soprattutto perché rivela il nostro disinteresse nel conoscere la verità.
Forse quello a cui stiamo assistendo è veramente il primo esempio in cui l’IA sostituirà gli umani, e anche se l’intervento delle persone per creare contenuti è tutt’ora molto importante per dare concretezza ai personaggi, gli influencer farebbero bene a preoccuparsi.
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