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Aitala (Corte penale internazionale): «c’è un attacco alla civiltà dei diritti»

«Where were you? Voi dove eravate»? Rosario Aitala la ripete in inglese e in italiano, la domanda che gli «toglie il sonno». Tra qualche anno la Storia chiederà dove fossero giuristi e intellettuali, mentre «avveniva un attacco alla civiltà dei diritti»: come sarà descritto questo tempo in cui «una coincidenza di interessi tra autocrazie e alcune democrazie dichiara guerra ad un ordine di civiltà»? Proprio questo infatti sta avvenendo, a detta del giudice e vicepresidente della Corte penale internazionale, «lo smantellamento di alcuni principi e tra qualche anno ci sarà un conto da pagare».

La lezione del vicepresidente Cpi a Bologna

Parla da giurista all’Università di Bologna, senza entrare nei casi specifici, di cui pur si è occupato, come il mandato di arresto per il presidente russo Vladimir Putin o per quello israeliano Bibi Netanyahu, e senza lambire la querelle col governo italiano sulla mancata consegna del generale libico Al Masri. Tutti dossier roventi, come l’uscita dell’Ungheria dalla Cpi o da ultimo, settimane dopo il seminario dell’Alma Mater, le sanzioni degli Stati Uniti nei confronti di quattro giudici.

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Gli attacchi alla Corte

Nelle riflessioni del tecnico Aitala c’è però tutta l’amarezza per «gli insulti e le accuse rivolte alla Corte di politicizzazione e di condurre una guerra ibrida». «La guerra alla civiltà della legalità è la guerra a quello che il diritto rappresenta», esordisce Attila Tanzi, docente di diritto internazionale dell’ateneo; «l’attacco alla Corte – concorda Michele Caianiello, collega di diritto processuale penale – si inserisce in un momento di anti globalizzazione anche dei diritti». In gergo politico si chiamerebbe sovranismo.

Ecco che allora va letta anche in questa prospettiva la scelta di «alcuni Stati di non collaborare perché considerano il Tribunale internazionale un organo politico», analizza Aitala, che ammette di «non stupirsi» di alcune mancate cooperazioni in situazioni di potenziale conflitto tra «interessi politici interni anche validi» e i diritti. Come il caso di Al Masri, che l’Italia non ha consegnato a L’Aja, ma riaccompagnato in Libia con volo di Stato?

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La commissione per il codice di crimini internazionali

Lui non lo dice, ma proprio per evitare situazioni di questo tipo, «che danneggerebbero tanto il governo che la giustizia», all’interno della commissione interministeriale per un codice dei crimini internazionali – di cui Aitala era componente insieme, tra gli altri, ad Emanuela Fronza, docente dell’ateneo felsinero e promotrice del seminario- si era riflettuto sull’opportunità di «non prevedere la richiesta del Ministro della Giustizia come condizione per procedere in caso di crimini commessi altrove». Del lavoro di quell’organo, istituito dall’allora Guardasigilli Marta Cartabia e confermato da Carlo Nordio, si sono perse le tracce, dopo l’annuncio di una pur parziale approvazione in Consiglio dei Ministri nella primavera 2023.


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