Ageismo sanitario nelle malattie rare: sfida da affrontare per una società che invecchia
In Italia, il tema dell’invecchiamento e quello delle malattie rare sembrano, a prima vista, appartenere a due mondi distanti. Da un lato, gli anziani rappresentano una fetta sempre più ampia della popolazione; dall’altro, i malati rari sono circa due milioni, una minoranza che spesso fatica a trovare spazio nel dibattito pubblico. Tuttavia, queste due realtà non sono così lontane come si potrebbe pensare.
Nuove sfide per il sistema sociosanitario
Le malattie rare, infatti, non sono più esclusivamente una questione legata alla neonatologia o alla pediatria. Grazie ai progressi della scienza, molte persone con malattie rare vivono più a lungo e invecchiano. Inoltre, alcune patologie rare, come l’amiloidosi cardiaca, si manifestano tipicamente in età adulta, progredendo con l’avanzare degli anni. Questo ci porta a un punto cruciale: in una società che invecchia, le malattie rare e l’invecchiamento non solo si incontrano, ma spesso si sovrappongono, creando sfide complesse per il sistema sanitario e sociale.
Uno degli aspetti più preoccupanti di questa complessità è il rischio di ageismo, ovvero la discriminazione sistematica nei confronti delle persone anziane. È un fenomeno che si manifesta in molti modi, ma che nel contesto sanitario assume contorni particolarmente gravi. Spesso, infatti, si tende a considerare l’anziano come una persona “in scadenza”, per la quale non vale la pena investire risorse o cure. Questo approccio non solo è eticamente inaccettabile, ma è anche miope: l’aspettativa di vita si allunga, e molte persone over 60 hanno davanti a sé anni di vita attiva e produttiva.
Cos’è l’ageismo
L’ageismo si traduce anche in una disparità di trattamento tra diverse fasce d’età, ma la vita di una persona non perde valore con l’età, e il diritto alla diagnosi e alla cura deve essere garantito a tutti, indipendentemente dall’età. Un altro aspetto cruciale è il cambiamento del contesto sociale in cui vivono gli anziani. Sempre più spesso, gli anziani non fanno parte di famiglie numerose e possono trovarsi a vivere soli o con un coniuge altrettanto anziano. Questo scenario diventa ancora più complesso quando l’anziano è anche un malato raro, trasformando il coniuge in un caregiver. Il ruolo del caregiver è spesso schiacciante, soprattutto quando si tratta di figli che non convivono con il genitore malato. Questi caregiver devono destreggiarsi tra lavoro, famiglia e le esigenze del paziente, affrontando non solo il peso emotivo, ma anche quello burocratico ed economico. È fondamentale che il sistema sanitario e sociale si impegni a ridurre questi oneri, garantendo supporto economico e semplificando le procedure burocratiche.
Cosa fare oltre le “etichette”
Per affrontare queste sfide, sono necessarie alcune azioni concrete che il sistema sanitario e sociale dovrebbe intraprendere. In primis, è fondamentale creare un percorso di transizione per i pazienti con patologie a esordio infantile, ma con le quali convivono anche nell’età adulta. Allo stesso tempo, è necessario integrare nella presa in carico multidisciplinare anche la medicina interna e la geriatria, e indirizzare anche a loro la formazione sulle malattie rare. Va, inoltre, garantito l’accesso equo a tutte le terapie, la presa in carico e i percorsi di assistenza, anche per i pazienti rari in età avanzata: escluderli significherebbe alimentare una forma di ageismo che una società che invecchia non può permettersi. È essenziale inoltre integrare i percorsi di cura ospedalieri con una vera e propria rete sanitaria e sociale, capace di rispondere ai bisogni specifici della persona adulta, anche attraverso strumenti digitali semplici e accessibili. E infine, un’attenzione alla diagnosi legata all’esordio in età adulta con la possibilità di poter accedere al test genetico, se necessario e indicato.
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