Adolescence, una serie sul lato oscuro dell’adolescenza moderna


Sui social non si fa altro che parlare di Adolescence. La mini-serie disponibile su Netflix ha conquistato il pubblico e generato un appassionato dibattito sulla violenza dei ragazzi, sulla fragilità e degli adulti, troppo presi da se stessi.
In una tranquilla cittadina inglese, nelle prime ore del mattino un gruppo armato di forze dell’ordine irrompe nella casa abitata dalla famiglia Miller, per arrestare il tredicenne Jamie accusato di aver accoltellato per ben 7 volte, la coetanea Katie. I due si conoscono perché frequentano la stessa scuola. A collocare Jamie sulla scena del delitto, ci sono le riprese delle telecamere pubbliche e un video in cui si intravede una sagoma a lui somigliante che aggredisce la ragazza.
Di fronte a quelle immagini, il padre Eddie è a dir poco sconvolto. Jamie è un ragazzino pacato, va molto bene a scuola e non ha mai dato alcun pensiero alla famiglia, accusato di aver ucciso la ragazza che lo avrebbe respinto dopo un approccio, finisce in prigione.
Eddie è l’adulto responsabile, grande lavoratore che vive per la famiglia o un padre incapace di capire i bisogni del proprio figlio?
Cosa accade quando un proprio figlio commette un errore dal quale non si torna più indietro? Come si affronta una tragedia e di chi è la responsabilità?
Dei figli o dei genitori?
Questa serie mette a nudo tutta la fragilità di una generazione di ragazzi, ma anche di genitori messi continuamente alla prova, da una società basata sul continuo confronto con gli altri, sulle apparenze, sul dovere essere per forza i più bravi, i più belli, i più forti.
Davanti a un “no”, di fronte a “un rifiuto” la parola d’ordine è ancora una volta “aggressività”, un campanello d’allarme sullo stato della violenza di genere in Italia e sull’urgente necessità di affrontare questo problema a livello nazionale e non solo.
La nostra è una società che sta diventando sempre più violenta, misogina e piena di muri. Dalla serie emerge l’aggressività verso l’altro, ma viene fuori anche dai fatti di cronaca italiana più recenti, come quello di Andrea Prospero: un’aggressività verso se stesso, dove nessuno parla del fatto che lui ha pensato al suicidio e non è riuscito a parlarne con gli adulti. Si parla del ruolo dei social e non della sua solitudine.
Cosa può salvare gli adolescenti?
Le relazioni con gli altri possono non solo salvare, ma sono fondamentali per una crescita sana. La relazione autentica, è l’unico antidoto al male sempre più diffuso tra i ragazzi di sentirsi soli in mezzo agli altri.
Ma una relazione autentica parte dalla domanda: “Chi sei tu?”, quesito che noi adulti non facciamo più neanche ai figli perché siamo troppo presi da noi stessi. Quel “Chi sei tu?” racchiude ascolto, attenzione, riconoscimento dell’unicità dell’altro.
Vincere l’aggressività è possibile?
Aiutare i ragazzi violenti vuole dire prima di tutto non condannarli, ma cercare di capire il bisogno di relazione e riconoscimento che è alla base degli atteggiamenti negativi.
In questo senso, la scuola dovrebbe favorire una transizione empatica, offrendo agli studenti attività didattiche da svolgere in gruppi a scuola e a casa, facilitando lo sviluppo di abilità sociali e affettive.
E come genitori ognuno di noi è chiamato a costruire un’alleanza con i propri figli, basata sull’attenzione verso l’altro. Si tratta di riconoscere l’intenzione e il bisogno che vi stanno dietro, cercando, se necessario, di incanalare quest’energia verso direzioni più costruttive, perché come ci ricorda Umberto Galimberti: “L’adolescenza è quella fase precaria dell’esistenza, dove l’identità appena abbozzata non si gioca come nell’adulto tra ciò che si è e la paura di perdere ciò che si è, ma nel divario ben più drammatico tra il non sapere chi si è e la paura di non riuscire a essere ciò che si sogna”.
Bibliografia
L’adolescente. Psicopatologia e psicoterapia evolutiva, di Matteo Lancini, Loredana Cirillo, Tania Scodeggio, Tommaso Zanella, Editore Raffaello Cortina Editore
Source link