«Addio presidente, io qui grazie a te. E ora Pesaro intitoli una piazza a Palazzetti». Oggi il funerale
PESARO Questo pomeriggio, alle 15 alla chiesa del Porto, la città di Pesaro si stringerà attorno alla famiglia di Eligio Palazzetti per l’ultimo saluto a uno dei suoi più grandi protagonisti: il presidente che ha saputo scrivere alcune delle pagine più belle della storia del basket pesarese, il costruttore visionario che ha trasformato Baia Flaminia, l’uomo che si è fatto da solo con un diploma da geometra, il dottore laureato in giurisprudenza e filosofia, il sognatore che sale verso il cielo in una ascesa che ricorda quella del mito di Icaro, le cui ali di cera si sciolsero per la vicinanza al sole, ma celebrato perché in grado di volare così in alto, anzi, in alto come nessuno.
«Credo che la città di Pesaro dovrebbe rendergli un riconoscimento pubblico, intitolargli una strada o una piazza, per tutto quello che il presidente Palazzetti è stato per Pesaro». Le parole sono di Walter Magnifico, simbolo della pallacanestro pesarese, di quei successi entrati nella leggenda: «Non era soltanto il presidente, era una figura paterna, capace di vedere il potenziale nei ragazzi e di dare opportunità a chi, come me, veniva da fuori. Se oggi sono legato indissolubilmente a Pesaro, lo devo anche a lui». Walter, che è una persona riservata, prova quasi imbarazzo nel chiamare per nome l’ex presidente: «Ho iniziato a chiamarlo Eligio – racconta – solo negli ultimi anni, ma perché lui quasi mi imponeva di farlo, per me è sempre rimasto il presidente e perdonatemi – si scusa Walter – se i ricordi importanti li tengo per me e li custodisco gelosamente nel mio intimo, ma questo fa parte della mia indole e del vuoto profondo che lascia una persona che ha segnato la mia carriera sportiva e la vita personale». Dalle parole dell’ex capitano della Scavolini emerge un ritratto di un uomo che ha saputo creare un legame importante con tutte le persone che lo circondavano: «L’ho conosciuto dal settembre ’80 quando sono arrivato a Pesaro, gli piaceva stare al centro dell’attenzione, era veramente un numero uno – ricorda Magnifico -. Aveva tutto questo entourage attorno a sé, come se fosse inarrivabile. Ma nascondeva una grande umanità. Ho ancora ben presente i primi incontri che facevamo io da ragazzetto diciottenne e lui da persona che conosce profondamente la vita. Mi spiegava l’importanza di investire su me stesso, di lavorare forte per diventare un giocatore migliore possibile».
Le intuizioni
«Aveva creato un gruppo di giocatori italiani- ricorda ancora Magnifico – come Ponzoni, Zampolini, Benevelli, Gracis e poi Ario Costa: un mix di giocatori già affermati e giovani con grandi margini di crescita. Quando c’è stato il ricambio, eravamo diventati quei giocatori maturi intorno ai quali poi sono state costruite le vittorie. Non so se conoscesse il basket – aggiunge – ma sapeva di uomini, perché capiva la psicologia dei giocatori, il momento umano di ognuno ed era capace di intervenire senza essere scontato in quello che diceva, portandoci a riflettere e a crescere. Senza di lui e senza Valter Scavolini il basket a Pesaro non sarebbe mai stato quello che è stato».