Addio a Senio Gerindi
La scorsa notte si è spento, all’eta di 88 anni, l’amico Senio Gerindi, i cui funerali si terranno domani 19 settembre alle ore 15 a Valmontone nella Chiesa Collegiata Santa Maria Maggiore. La tristissima notizia mi è giunta tramite un comune amico.
Dal 1975 al 1981 Senio Gerindi fu anche consigliere comunale di Roma.
Le mie ultime conversazioni telefoniche con Senio, risalgono purtroppo all’evento del 6 dicembre 2022 quando all’Auditorium Antonianum in Roma, stesso luogo della sua costituzione l’8 e 9 dicembre del 1972, era stato celebrato Il 50° anniversario del Sunia, con la partecipazione dei fondatori, degli attivisti e dei militanti di ieri e di oggi e degli autori del libro e della mostra fotografica Francesco Sirleto e io.
Purtroppo in quell’occasione, per problemi di salute, Senio Gerindi, tra i principali fondatori del Sunia, non potè partecipare.
Riuscii allora ad intervistarlo ed una sua testimonianza figura nel libro prima citato “SUNIA, 50 anni di lotta per la casa” e che qui di seguito riporto.
GERINDI – Dalle baracche a una casa in una città vivibile
Per circa 40 anni sono stato inseparabile compagno di lotte per il diritto alla casa di Aldo Tozzetti (soprannominato “L’Angelo dei baraccati”) e con lui ho condiviso battaglie memorabili (per le quali rinvio al suo libro La casa e non solo), a partire da quelle per il diritto di residenza e poi di lotte per la casa fino alla prima metà degli anni ottanta in cui ho fondato una cooperativa di abitazioni, il Ce.Svi.Co, che ha dato casa a 1.500 famiglie di Roma e Lazio.
Sono stato anche segretario del Sunia di Roma per molti anni e sostenitore dell’Associazione culturale Aldo Tozzetti la cui anima fu il compianto amico e compagno di battaglie Rodolfo Carpaneto.
Le lotte degli anni Cinquanta-Sessanta riguardavano immigrati italiani, senza diritto a risiedere, a lavorare legalmente, a votare. Oggi gli immigrati vengono da continenti diversi, parlano lingue sconosciute. Parte di loro ha trovato un lavoro e una casa. Molti, sono privi di diritti, sfruttati, spesso odiati anche se fanno lavori che i romani e gli italiani rifiutano. La richiesta di legalizzare la loro posizione, di garantire loro il diritto di voto nelle elezioni amministrative, di promuovere interventi di assistenza, di assicurare contratti di lavoro equi, è molto simile alle rivendicazioni presentate nel passato dal movimento popolare romano e che risultarono poi vincenti. L’auspicio è che una riflessione su queste vicende possa fornire utili ammaestramenti per superare i gravi problemi di oggi e la nuova emergenza abitativa.
Nel censimento del 1951 si rilevarono a Roma 27.961 tra baracche, grotte, scantinati, magazzini, soffitte, in cui “vivevano” 105 mila persone. In aggiunta 3200 famiglie avevano perduto la casa nella guerra, erano ricoverate in dormitori, scuole, campi di raccolta e accantonamenti.
Le Consulte operarono per dotare di acqua potabile alcuni quartieri popolari con le fontanelle pubbliche e per la realizzazione di strade senza le quali non era possibile richiedere il collegamento delle borgate e dei nuclei edilizi con mezzi pubblici. Il primo congresso delle Consulte, dall’1 al 3 febbraio 1948, mise in luce la nascita di una nuova realtà, cresciuta attraverso le lotte per trovare soluzioni per la parte più povera della popolazione. Si costituì il Centro cittadino delle Consulte popolari, la cui direzione fu assunta da Nino Franchellucci, Nicolò Licata e Virgilio Melandri.
Tozzetti ed io ne entrammo a far parte nel 1956. Nella stessa sede, fin dal 1948, trovò posto anche l’Associazione romana degli inquilini e senza tetto che forniva consulenza e assistenza su problemi di sfratto o di affitto, ma anche la reiscrizione nelle liste elettorali e la cancellazione di piccoli reati. Presentammo 18.328 domande di richiesta di residenza che, anche se venivano respinte, esercitavano una pressione continua per l’ottenimento di questo diritto.
L’inchiesta parlamentare del 1953 mise a nudo le condizioni e le miserie abitative di Roma. Rivelò chi erano e da dove provenivano, come dovevano essere considerati coloro che vivevano ai margini della città. Ciò valorizzò la lotta per il risanamento delle borgate che tuttavia durò trent’anni dal 1950 al 1981.
Dal 1950 al 1975 gli immigrati a Roma furono 1 milione e 500 mila (più della popolazione di Milano che nel marzo 2022 è risultata essere di 1 milione e 370 mila abitanti). Ciò creò, soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta, problemi gravissimi in una città priva di fonti di lavoro e determinò due fenomeni: l’aumento del numero delle baracche e di quello dei borghetti. Gli immigrati più poveri, provenienti dall’estremo sud e dalle isole costruirono le case per i ricchi mentre per loro esisteva solo una baracca.
Quelli provenienti dalle zone meno depresse, dal Lazio (il 32%) o dall’Umbria, dalle Marche, dalla Campania, disponendo di qualche soldo perché avevano venduto un pezzo di terra o una casa, trovato lavoro nel pubblico impiego o un portierato, compravano un lotto abusivo nei terreni dell’Agro e si costruivano le “case della domenica” con un pezzo di orto, ultima illusione di un retaggio contadino.
Questi due fenomeni di abusivismo hanno interessato un numero elevatissimo di immigrati. Le consulte rilevarono in almeno 200 mila i lavoratori, in prevalenza immigrati, che avevano trascorso un periodo più o meno lungo (ma si tratta sempre di anni) nelle baracche costruite nei 72 borghetti. Nelle case costruite sui lotti venduti dai lottizzatori abusivi, nelle 130 borgate dell’Agro romano che gradualmente, nel corso degli anni si formeranno, è stata valutata, la presenza di 800 mila persone (una città quasi come Torino, 847.287 ab. Nel 2022).
Con Aldo Tozzetti, sono stato uno dei principali animatori delle lotte per la casa a Roma e di questo sono estremamente orgoglioso. Quelle lotte durarono ininterrottamente dal 1950 al 1981 quando le ruspe abbatterono le ultime baracche del Borghetto Prenestino, il più vecchio e il più grande.
Esse si articolarono in due periodi. Il primo, dal 1950 al 1962, è caratterizzato da amministrazioni di centro e di centrodestra sia nel governo locale che in quello nazionale. Il secondo, dal 1962 all’inizio degli anni Ottanta, con un governo nazionale di centrosinistra e in Campidoglio con giunte di centrosinistra prima e dal 1976 con giunte di sinistra.
Dal 1962 al 1968, con l’insediamento di una giunta di centrosinistra, piano piano, protesta dopo protesta, cominciarono a delinearsi le condizioni per una nuova politica della casa. Furono approvati la legge 167 e il Piano regolatore di Roma. Iniziò quindi la pressione sul Comune per l’approvazione di un Piano regolatore che individuasse le aree necessarie per la formazione di pani di zona della 167. Nel 1965 vennero infatti vincolati 5.200 ettari e preparati 72 piani di zona per la costruzione di oltre 700 mila vani. Nel novembre del 1969 la lotta delle Consulte si saldò con quella per la casa della federazione unitaria Cgil-Cisl-Uil che indisse quello straordinario sciopero generale per la casa.
La battaglia per il diritto alla casa ebbe caratteristiche unitarie e coinvolse comunisti, socialisti, sinistra Dc e personalità cattoliche tra cui don Sardelli, don Lutte, don Franzoni. Il Parlamento approvò la legge 865/71 che prevedeva, oltre ai finanziamenti per i programmi costruttivi, uno stanziamento di oltre 60 miliardi (52 dei quali per Roma) per costruire case da assegnare a famiglie che vivevano in abitazioni malsane e tuguri. Tuttavia in attesa che i finanziamenti si traducessero in abitazioni, i baraccati romani e la loro associazione seppero imporre un piano, che fu accolto dal sindaco Darida, il quale si impegnò a costruire 2 mila alloggi per il risanamento delle baracche e affittò e acquistò migliaia di alloggi sul mercato.
L’occupazione del Campidoglio
L’occupazione del Campidoglio nel 1974 (uno dei momenti più esaltanti della mia vita) andò avanti con tenacia anche durante e dopo le feste natalizie e si protrasse per 69 giorni e 69 notti (circondata dalla solidarietà e da un vasto consenso, dimostrato dalle 43 mila firme di solidarietà apposte su registri) fino al 24 gennaio 1975, quando il Consiglio comunale approvò la delibera per l’assegnazione di circa 2 mila appartamenti ad un fitto sociale di 2500 lire vano/mese.
Prima di sgomberare la piazza del Campidoglio, in una conferenza stampa, furono illustrati i risultati di quella lunga lotta. Insieme ai 2 mila alloggi del piano Isveur, feci rilevare che le costruzioni in corso o già appaltate avevano toccato livelli che non erano mai stati raggiunti: nel Lazio 10.159 alloggi, nella provincia di Roma 7.424, nel solo comune di Roma 5.532.
Infine il 20 aprile 1976 il Consiglio comunale approvò all’unanimità la storica delibera sulla “Perimetrazione dei nuclei edilizi consolidati e spontaneamente sorti. Procedure e provvedimenti per il relativo recupero urbanistico” e cioè il riconoscimento di 55 nuclei edilizi sorti dopo il 1962. Il provvedimento aveva come obiettivo finale l’inserimento delle borgate all’interno del piano regolatore per giungere a una loro sanatoria.
La prima giunta di sinistra guidata dal sindaco Giulio Carlo Argan varò il piano di emergenza del 1976 e il contemporaneo piano Isveur. Nel 1978 ci fu la firma del “Protocollo d’intesa con le forze imprenditoriali e cooperative dell’edilizia” (aggiornato nel 1979) che prevedeva la realizzazione di 80 mila vani l’anno, di cui 48 mila in aree 167. L’eliminazione delle baracche e dei borghetti fu un’operazione a quei Conferenza stampa a conclusione dell’occupazione del Campidoglio.
L’amministrazione di allora cambiò modo di operare: l’assegnazione doveva essere subito seguita dalla distruzione del borghetto e dal risanamento dell’area destinandola a servizi pubblici (parcheggi, strade, parchi).
Nel triennio 1979-1981 furono eliminate baracche e borghetti e 8 mila baraccati ebbero la casa.
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