Addio a James Senese, il sassofonista aveva 80 anni
Negli anni Sessanta formò i Gigi e i suoi Aster e poi i Vito Russo e i 4 Conny, ma la svolta arrivò con gli Showmen, fondati insieme all’amico Mario Musella. Nel 1974, con il batterista Franco Del Prete, fondò i Napoli Centrale, gruppo che fuse jazz elettrico e dialetto napoletano, trasformando la cronaca sociale in poesia ritmica. Brani come Campagna, O nonno mio e Simme iute e simme venute raccontavano la vita reale, lontana dal folclore. «La nostra musica era politica senza volerlo», diceva Senese, «perché parlava di chi non aveva voce».
Il loro suono, viscerale e meticcio, divenne il simbolo del Neapolitan Power, il movimento musicale che negli anni Settanta e Ottanta riscrisse l’identità culturale di Napoli.
A fine anni Settanta l’incontro decisivo: Pino Daniele. Due anime affini che, insieme a Tullio De Piscopo, Joe Amoruso, Rino Zurzolo ed Ernesto Vitolo, costruirono una delle stagioni più luminose della musica italiana. Senese partecipò ai primi dischi di Pino, contribuendo con il suo sax al suono di Vai mo’ e di quella «musica napoletana nuova» capace di fondere jazz, blues e Mediterraneo.
Le sue collaborazioni attraversarono continenti e generi: Bob Marley, Gil Evans, Ornette Coleman, Art Ensemble of Chicago, Lester Bowie, Steve Thornton, Roberto De Simone, Tullio De Piscopo, Enzo Avitabile.
Eppure James Senese non lasciò mai Napoli. «Non ho mai cercato la carriera facile. Napoli è la mia radice e la mia condanna. Da qui vengo, qui voglio restare».
Dopo lo scioglimento dei Napoli Centrale nel 1983, iniziò la carriera solista. Nel 1992 il gruppo si riformò e riprese a girare l’Italia e l’estero. Tra il 2015 e il 2016 oltre 180 concerti riportarono in scena la sua energia. Nel 2025, appena pochi mesi fa, aveva pubblicato Chest nun è ’a terra mia, nove brani che suonano oggi come un testamento musicale: «La musica è fernuta, i sentimenti non ci sono più. Ma io continuo a suonare per chi ha ancora un’anima».
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