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Addio a Brian Wilson, genio fragile dei Beach Boys

È morto a 82 anni Brian Wilson, il cuore visionario dei Beach Boys, l’uomo che ha trasformato la leggerezza del surf in poesia orchestrale, che ha preso la California da cartolina e le ha dato un’anima malinconica. A dare l’annuncio, la sua famiglia, con un post su Instagram carico di emozione: «Con il cuore spezzato annunciamo che il nostro amato padre Brian Wilson è scomparso. Non abbiamo parole. Vi chiediamo di rispettare la nostra privacy in questo momento di lutto. Sappiamo che stiamo condividendo il nostro dolore con il mondo. Love & Mercy».

Se c’è una colonna sonora dell’America degli anni Sessanta – quella dei capelli al vento, delle onde da cavalcare e dei motori rombanti – è la musica dei Beach Boys. Ma dietro a quei sorrisi abbronzati e alle armonie da sogno c’era lui, Brian, il ragazzo timido di Inglewood con un orecchio assoluto e un talento capace di reinventare la musica pop. Il suo capolavoro assoluto, Pet Sounds, inciso nel 1966, non è solo il vertice della discografia dei Beach Boys: per molti è il più grande album mai realizzato nella storia della musica. Fu Paul McCartney a dirlo per primo, e non fu l’unico.

Nato nel 1942, Wilson aveva imparato a riprodurre melodie ancora prima di saper parlare. Con i fratelli Dennis e Carl, e il cugino Mike Love, formò una band liceale che in poco tempo, grazie anche all’amico Al Jardine, sarebbe diventata i Beach Boys. Il primo singolo, Surfin’, uscì nel 1961. Da lì, una raffica di hit: Surfin’ Safari, Surfer Girl, Fun, Fun, Fun e l’inno generazionale Surfin’ USA. Ma per Brian non bastava. Voleva spingersi oltre, fare della musica qualcosa di più ambizioso, più colto, più profondo.

Brian Wilson nel 1968 a Los Angeles.

Brian Wilson nel 1968 a Los Angeles.

Michael Ochs Archives/Getty Images

Produttore oltre che autore, fu lui a trasformare i Beach Boys da boyband balneare a laboratorio sonoro avanguardista. In studio sperimentava come un alchimista: orchestrazioni sontuose, armonie vocali impossibili, strumenti inusuali (celebre l’uso delle bottiglie di Coca-Cola come percussioni). L’LSD, che Wilson dichiarò fondamentale per la sua creatività, aprì nuove porte ma contribuì anche a peggiorare una salute mentale già compromessa. Diagnosi: disturbo schizoaffettivo e depressione lieve. Ma dietro il mito, restava l’uomo, fragile e spesso solo, che negli anni avrebbe attraversato crisi, cliniche psichiatriche, terapie sperimentali, e una lunga discesa tra droga, alcol, e isolamento.

Negli anni Settanta, mentre i Beach Boys cercavano una nuova identità, Wilson era spesso assente, o presente a metà. Smile, l’album che doveva seguire Pet Sounds, non vide mai la luce nella sua forma originale. Solo decenni dopo, nel 2004, Wilson ne pubblicò una versione solista. Seguì un lungo tira e molla con la band e con la propria storia: ritorni, abbandoni, cause legali, successi intermittenti. Nel 1988 uscì il suo primo disco da solista, Brian Wilson, mentre alle spalle si lasciava una relazione tossica con lo psicologo-manager Eugene Landy, che arrivò persino a farsi inserire nel testamento del musicista.


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