Adam Mosseri, numero uno di Instagram: «Il bullismo? Esiste da sempre, io stesso ne sono stato vittima. Come social facciamo del nostro meglio, ma il ruolo dei genitori è cruciale»
Questa intervista a Adam Mosseri è pubblicata sul numero 18 di Vanity Fair, in edicola fino al 29 aprile 2025.
I cambiamenti sono più importanti delle critiche. «Ho ricevuto molti feedback negativi. Ma ho sempre preferito muovermi velocemente e rallentare, piuttosto che procedere lentamente e diventare irrilevante». 42 anni, tre figli e 17 anni dentro Meta: Adam Mosseri, capo di Instagram, arriva a Milano mentre negli Stati Uniti inizia il processo per concorrenza sleale contro Mark Zuckerberg. È rilassato e sorridente anche se lo aspetta un giro del mondo in quindici giorni prima di tornare a casa, dalla sua famiglia, a San Francisco. Lo incontriamo a pochi giorni dal lancio di un nuovo servizio di Instagram, l’account per teenager, per parlare di adolescenti, fake news, intelligenza artificiale e del futuro dei social media.
Qual è la cosa migliore che ha fatto per Instagram finora?
«Sono in Meta da 17 anni: dieci passati su Facebook e sette su Instagram. La cosa di cui sono più orgoglioso di Instagram è di essere riuscito a far evolvere la piattaforma col mondo che cambiava. La cosa più ardua, infatti, è sempre stata la stessa: far evolvere le piattaforme. Devi farle progredire, altrimenti muoiono. Questa rivoluzione, però, ha un rovescio della medaglia: quando cambi qualcosa, la gente si sente frustrata. Quando si pensava a Instagram cinque o dieci anni fa, si pensava a un feed di foto quadrate. Oggi si visualizzano principalmente video. Ho ricevuto molti feedback negativi, all’inizio, quando abbiamo avviato i cambiamenti. Però, come dicevo, ho preferito muovermi velocemente e poi magari rallentare, invece di andare troppo lentamente e diventare irrilevante».
C’è stato, invece, un errore di cui si pente?
«Molti. Però le faccio un esempio. Nel 2018 compare il primo breve video: lo chiamiamo Reel e decidiamo di integrarlo nelle Stories. Fu un completo fallimento. Abbiamo passato nove mesi, forse un anno, provando a farlo funzionare. Poi siamo passati alla versione di oggi, nel feed, e ha funzionato, complici anche la pandemia e l’arrivo di TikTok. La lezione che ho imparato da quell’errore non è solo quanto sia importante muoversi rapidamente, ma anche essere pronti a tutto. Perché il mondo ti sorprende e tu devi adattarti. E se riesci ad adattarti più rapidamente della concorrenza, allora fai la differenza. Vorrei non aver fatto quell’errore, ma probabilmente quello sbaglio ha plasmato più di tutto il modo in cui gestisco oggi Instagram».
Avete appena lanciato l’Account per teenager, un insieme di innovazioni dedicate agli adolescenti. E il mondo è rimasto molto colpito da una serie tv, Adolescence. Lei è padre di tre figli: come, secondo lei, si possono educare gli adolescenti ai social media? E quando è giusto dare il primo smartphone?
«Penso dipenda dai ragazzi. E penso che ognuno abbia il proprio ruolo da svolgere. Le piattaforme devono fare il possibile per garantire la sicurezza dei bambini, i produttori di telefoni e i sistemi operativi per aumentarla e il governo e le scuole devono fare la loro parte. Ma penso che uno dei compiti più importanti spetti ai genitori, perché nessuno conosce le esigenze di un bambino meglio di loro. Io ho tre figli maschi. Vedere Adolescence è stata davvero dura».
Come si insegna allora a un bambino o a un adolescente a usare i social media in modo responsabile e a far fronte a chi li odia, bullizza e molesta?
«La risposta cambia molto se parliamo di una piattaforma, come Instagram, o di un genitore. Dal punto di vista della piattaforma dobbiamo fare due cose: la prima è cercare di prevenire episodi di bullismo o molestie. Abbiamo regole ben precise su cosa costituisca molestia, e quando vediamo che le norme vengono violate, rimuoviamo quei contenuti. Però non si tratta solo di fare questo, che comunque significa censurare qualcuno, ma anche creare degli incentivi. Un esempio: a quali post dare più valore nell’algoritmo, quali commenti far comparire in alto, quali impostazioni sulla privacy offrire. Ci sono tanti modi per cercare di ridurre l’esposizione dei più giovani al bullismo online. Si cerca di fermarlo il più possibile, ma bisogna anche essere onesti: qualcosa passerà sempre. Il bullismo esiste da quando esistono le persone. Io stesso sono stato bullizzato da ragazzino. Per questo devi creare strumenti che permettano a chi lo subisce di proteggersi e di riprendersi un po’ di potere».
E i genitori, che cosa possono fare?
«Educazione: bisogna assicurarsi di parlare con i propri figli adolescenti dei rischi. E sull’identità è necessario chiedersi: sai davvero chi è chi? Essere attenti e consapevoli di ciò che si condivide è cruciale, perché penso che non sia solo questione di bullismo, ma di quanto sei esposto. Quanto tempo, per esempio, passi sulla piattaforma? Se imposti un limite di 20 minuti al giorno corri meno rischi rispetto a non avere alcun limite. Di nuovo, per ogni adolescente sarà diverso e i genitori dovranno stabilire confini e limiti».
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