Accusato di terrorismo, arretsato giovane under 30 di origine turca
Abitava a Monfalcone, ma prima era residente nell’hinterland udinese il giovane, di origini turche, arrestato questa mattina, martedì 24 dicembre, dai carabinieri del Ros. L’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dal gip di Bologna, Andrea Salvatore Romito. Con lui sono stati fermati anche due ragazze, under 30, sospettate di essere a capo di un’associazione terroristica d’ispirazione jihadista, in chiave takirista, denominata Da’Wa Italia, ossia “chiamata alle armi” Italia. A finire in carcere anche il fratello minorenne di una delle due giovani. Non è stato possibile rintracciare una quinta persona: un ragazzo di origine marocchina, cresciuto a Milano, che si è radicalizzato al punto da partire per unirsi alle milizie jihadiste in Corno d’Africa. Le indagini sono state condotte dai carabinieri del Ros con l’importante coordinamento della Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo.
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Le indagini
Da quanto è emerso dalle indagini, avviate nel settembre 2023, una delle giovani, cittadina italiana ma di origine pakistana e residente a Bologna, si era radicalizzata durante il Covid avvicinandosi sui social a contenuti inneggianti alla jihad, che poi aveva approfondito, sempre online. Nel frattempo aveva anche cercato di coinvolgere il fratello, ancora minorenne. Oltre ai fratelli bolognesi, facevano parte del gruppo anche una giovane di Spoleto, di origine algerina, che con la ragazza pakistana era al vertice dell’organizzazione. Il gruppo si componeva anche di un giovane di origine turca che abitava tra Monfalcone e la provincia di Udine, tra l’altro molto ben inserito nel tessuto sociale della città. Infine, c’era anche un ragazzo di origine marocchina, cresciuto a Milano, che non è stato rintracciato perché, sembra, si sia arruolato nelle milizie jihadiste in Corno d’Africa.
Ragazzi e famiglie ben inseriti
Nessuno di loro proveniva da famiglie con particolari difficoltà economiche o disagio sociale ed erano tutti ben inseriti nel tessuto sociale delle loro città, dove non frequentavano moschee o centri di preghiera nei quali si erano radicalizzati. Le indagini sono state particolarmente complesse, proprio perché i canali attraverso i quali questi giovani si formavano alla dottrina jihadista e comunicavano erano solo in rete. I pc e gli altri device sequestrati a casa dei giovani aiuteranno gli investigatori a capire quali connessioni avessero a livello italiano ed europeo. Le indagini si sono concentrate in prima istanza sul ruolo ricoperto dalla giovane pakistana cresciuta e residente a Bologna. In breve tempo, si legge in una nota della procura di Bologna, è stato possibile assistere “a una rapida e per questo preoccupante evoluzione nelle intenzioni degli indagati di non limitare il loro impegno alla sola propaganda di contenuti jihadisti ma di ampliare il raggio d’azione verso nuovi soggetti, oltre a ricercare contatti al di fuori del territorio italiano per cercare di raggiungere i territori controllati dalle milizie jihadiste.
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