Accesso allo sport: Italia, la corsa contro i divari
Le criticità nell’accesso allo sport nel Rapporto 2025 The European House-Ambrosetti: in Italia la corsa contro i divari
Nel 2023, l’Italia ha compiuto un passo importante riconoscendo lo sport come diritto costituzionale. La modifica dell’articolo 33 ha, infatti, sancito il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme. A due anni di distanza, quel principio rimane spesso inattuato: le disuguaglianze nell’accesso allo sport in Italia sono infatti ancora forti e radicate, influenzate da fattori geografici, di genere ed età. Le criticità sono emerse durante la terza edizione del “Forum Osservatorio Valore Sport”, organizzato da The European House – Ambrosetti, con la presentazione dei risultati del Rapporto 2025. Il quadro che ne è emerso è articolato: ci sono segnali positivi, ma permangono profondi squilibri.
La disciplina più praticata nel nostro Paese è il fitness (22,2%), seguono calcio e calcetto (16,9%) e tennis (14%). La disciplina con il maggior numero di impianti a disposizione è invece il calcio (27,4%), seguita dal fitness (23,3%) e dalla pallavolo (15%). Lo scostamento tra domanda e offerta interessa soprattutto il tennis e il nuoto, seguiti da atletica leggera, danza, sport da combattimento e rugby, suggerendo così la necessità di mappare investimenti per infrastrutture dedicate.
La sedentarietà appare in calo: il 35% degli italiani non pratica alcuna attività fisica, in miglioramento rispetto al 2001, quando la quota superava il 40%. Tuttavia, a essere inattive sono soprattutto le donne, con un tasso pari al 38% rispetto al 32% degli uomini; seguono gli anziani, con oltre il 60% di sedentari tra gli over 64; le persone con un basso livello di istruzione, tra cui il 54% di sedentari contro il 23% dei laureati, e i residenti nel Sud e nelle Isole, dove l’inattività raggiunge il 47% della popolazione, con punte superiori al 50% in alcune province quali Reggio Calabria (51,2%) e Caltanissetta (56,4%).
L’assenza di attività fisica è associata a un aumento del rischio di malattie croniche come diabete e disturbi cardiovascolari, con costi sanitari stimati in oltre 3 miliardi di euro all’anno. La situazione peggiora se si considera che solo il 19% della popolazione pratica sport con continuità. Il divario è anche educativo: il 54% di chi ha solo la licenza media è sedentario, contro il 23% dei laureati. Le disuguaglianze, perciò, non possono essere riferite solo alle preferenze personali, ma sono anche il riflesso di condizioni sociali e strutturali ben precise.
L’aspetto territoriale conferma una frattura netta tra Nord e Sud, ed è proprio per misurare con maggiore precisione queste disuguaglianze che The European House – Ambrosetti ha sviluppato uno strumento dedicato: l’Indice Territoriale di Accessibilità allo Sport. Si tratta di un indicatore composito che valuta quanto un territorio favorisca la pratica sportiva, aggregando variabili come la dotazione di impianti, la spesa pubblica dedicata, la presenza di palestre scolastiche, il numero di praticanti regolari e le associazioni attive. Adottato come strumento analitico per confrontare regioni e province e supportare le istituzioni nella pianificazione di politiche pubbliche basate su evidenze, l’indice consente di fotografare in modo comparativo l’accessibilità effettiva allo sport su base regionale e provinciale.
I dati relativi all’ultimo report evidenziano la presenza di 217 impianti sportivi ogni 100mila abitanti in Alto Adige, 162 in Emilia-Romagna, mentre in Campania ve ne sono appena 83 e in Sicilia 75. Nelle scuole, quasi il 60% degli edifici è privo di palestra, con punte che superano il 75% nel Mezzogiorno. Anche la partecipazione continua alla pratica sportiva è disomogenea: in Trentino-Alto Adige la percentuale è del 46,7%, in Veneto del 40,3%, mentre in Calabria e Sicilia non arriva nemmeno al 17%.
Il valore economico dello sport, invece, racconta una storia di potenziale ancora non pienamente espresso. Il settore contribuisce con 24,7 miliardi di euro al PIL nazionale, pari all’1,38%, e impiega oltre 412.000 persone. Eppure, solo il 18% degli investimenti pubblici sportivi arriva al Sud, pur rappresentando quest’area il 34% della popolazione italiana. Le strutture, insomma, scarseggiano proprio dove ce ne sarebbe più bisogno.
Nel tentativo di colmare queste lacune, sono stati avviati progetti e strumenti come il bando “Sport e Periferie 2025“, che destina 75 milioni di euro alla riqualificazione degli impianti in aree marginali, e lo “Sport Bonus 2025“, che consente detrazioni fiscali fino al 65% per le donazioni agli impianti sportivi pubblici. Inoltre, la “Carta Giovani Nazionale“, rivolta ai giovani tra i 18 e i 35 anni, offre agevolazioni per l’accesso a servizi sportivi, culturali e formativi. Ma queste misure, pur importanti, non bastano a colmare un divario strutturale che affonda le radici in decenni di disuguaglianze.
Vi sono, inoltre, progetti locali che divengono esempi virtuosi. “SuperAbilities“, attivo in Calabria, sostiene l’inclusione sociale attraverso contributi per attività sportive dedicate a persone con disabilità e minori in condizioni di vulnerabilità; “Sport Up!”, promosso dalla UISP in 18 città italiane, offre corsi gratuiti a giovani provenienti da contesti periferici e famiglie svantaggiate, favorendo l’accesso equo allo sport. Infine, il “Ciao Team” della Federazione Italiana Taekwondo riunisce atleti di diverse origini, compresi migranti e rifugiati, in una squadra dimostrativa che promuove i valori dell’inclusione e del dialogo culturale.
Aver posto lo sport tra i nostri principi fondamentali non basta, è necessario passare dalla dichiarazione di intenti all’attuazione concreta. Finché praticare sport resterà un privilegio per chi vive al Nord, ha una famiglia benestante, una buona istruzione e una palestra vicina, quel diritto resterà incompiuto. Servirebbe un Piano Nazionale per il Valore dello Sport che non sia solo un documento programmatico, ma una regia concreta e operativa, capace di unire salute, scuola, coesione sociale.
È necessario, inoltre, garantire l’educazione motoria sin dalla primaria con strutture adeguate, sostenere il welfare sportivo aziendale come misura di benessere, introdurre la prescrizione medica dell’attività fisica, e rafforzare le associazioni sportive di base, spesso uniche presidi sociali nei territori più fragili. È altrettanto urgente abbattere gli ostacoli digitali che impediscono alle famiglie di accedere a bonus e informazioni. A queste priorità nazionali dovrebbero affiancarsi politiche locali più coraggiose e, soprattutto, la determinazione di trasformare i buoni propositi in azioni.
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