Cultura

a rischio il suo ritorno sul palco con Bruce Springsteen a Milano


A meno di una settimana dai due attesissimi concerti milanesi di Bruce Springsteen, previsti allo Stadio San Siro il 30 giugno e il 3 luglio, la presenza di Steven Van Zandt, alias Little Steven, è in forte dubbio. Il chitarrista e storico membro della E Street Band è stato infatti sottoposto a un intervento chirurgico d’urgenza, che mette a rischio la sua partecipazione alle date italiane.
A comunicarlo è stato lo stesso Van Zandt, che sui social ha raccontato di essersi inizialmente allarmato per quello che sembrava un semplice malessere: “Ho avuto un forte dolore allo stomaco, pensavo fosse un’intossicazione alimentare. Invece era appendicite”. Ricoverato a San Sebastián, in Spagna, dopo un concerto, Van Zandt ha elogiato l’ospedale locale per la prontezza e l’efficacia delle cure, definendo l’intervento “un successo totale”.

L’artista americano ha già confermato l’assenza al live del 27 giugno a Gelsenkirchen, in Germania, ma non esclude un possibile rientro in tempo per almeno una delle due serate milanesi. “Spero di riuscire a tornare sul palco almeno per uno dei concerti a Milano”, ha fatto sapere.
Quelli di San Siro saranno momenti particolarmente significativi per Springsteen e la E Street Band, che proprio a Milano festeggeranno quarant’anni dal loro primo show italiano: era il 21 giugno 1985 quando il Boss si esibì per la prima volta in Italia, proprio su quel palco.

Intanto, dopo decenni di silenzio, Bruce Springsteen è pronto a spalancare le porte del suo archivio più segreto con “Tracks II”, una monumentale raccolta di sette album “perduti” che vedrà la luce questo venerdì. Non si tratta di semplici rarità o scarti di lavorazione, ma di veri e propri progetti discografici completi, mixati, masterizzati e poi inspiegabilmente abbandonati nelle cassaforti della leggenda del rock americano.

83 tracce totali, di cui 74 completamente inedite. Un corpus musicale che abbraccia un arco temporale che va dal 1983 al 2018, testimoniando l’inesauribile creatività di un artista che, anche nei suoi momenti di apparente silenzio, non ha mai smesso di esplorare nuovi territori sonori. Dal lo-fi più sporco al country più autentico, dal retro-pop nostalgico alle sperimentazioni sintetiche, fino ad arrivare alle suggestioni mariachi e agli arrangiamenti orchestrali: Springsteen si rivela ancora una volta un musicista senza confini.

La genesi di questo progetto affonda le radici nei mesi più bui della pandemia. Mentre negoziava con Sony la cessione del suo catalogo per la cifra monstre di 550 milioni di dollari, Bruce ha iniziato a scavare negli archivi, riscoprendo tesori dimenticati. “Un disco è esattamente ciò che dice di essere: una testimonianza di chi sei e di dove ti trovavi in quel momento della tua vita”, confessa il 75enne cantautore del New Jersey, rivelando quella vena introspettiva che caratterizza questa fase della sua carriera.

“L.A. Garage Sessions ’83” apre la raccolta con il fascino grezzo del lo-fi casalingo: Bruce solo con una drum machine nella sua casa di Hollywood Hills, in una dimensione intima e sperimentale che i fan più devoti già conoscono in parte.

Streets of Philadelphia Sessions ci riporta all’epoca dell’Oscar vinto per la colonna sonora di “Philadelphia”, esplorando le sessioni che hanno dato vita a uno dei suoi brani più toccanti.

“Somewhere North of Nashville” e “Inyo” (quest’ultimo con una band mariachi) documentano le incursioni del Boss in territori country e world music, mentre Twilight Hours rivela un Springsteen in versione crooner alla Burt Bacharach, con arrangiamenti orchestrali di rara eleganza.

Faithless rappresenta forse il capitolo più misterioso: una colonna sonora per un “western spirituale” mai realizzato, che lascia immaginare quale direzione cinematografica avrebbe potuto prendere la carriera del Boss.

Chiude “Perfect World”, una collezione di brani rock che spazia dagli anni ’90 fino a un decennio fa, pensata per soddisfare le aspettative dei fan più tradizionalisti. Tra questi spicca “Rain in the River”, definita dal New York Times come una “travolgente murder ballad” che contiene alcune delle vocalità più primitive e istintive dell’intero repertorio springsteeniano.




Source link

articoli Correlati

Back to top button
Translate »