Cultura

A Bridge To Far: Il ponte della rinascita :: Le Recensioni di OndaRock

Days gone by with the sun, and the moon, and the skies.

I giorni non sono passati invano per i Midlake.
Dopo l’abbandono del cantante e frontman Tim Smith, la band di Denton ha dovuto reinventarsi, affidando la voce solista al chitarrista Eric Pulido. Gli album successivi alla separazione sono apparsi meno ispirati rispetto al periodo d’oro, e il gruppo sembrava destinato a scivolare nel dimenticatoio.
Ma la tenacia dei texani ha avuto la meglio: con “A Bridge To Far” i Midlake ritrovano finalmente la rotta perduta.

La forza di “A Bridge To Far” sta nella sua coesione: dieci brani dal tocco ispirato, sostenuti da arrangiamenti eleganti ma mai ridondanti. Speranza, ricerca di spiritualità e resistenza di fronte alle avversità della vita attraversano ogni traccia, lasciando all’ascoltatore un senso di empatia e sollievo.
Dopo l’esperienza con John Congleton nel precedente ”For The Sake Of Bethel Woods”, la band si affida nuovamente a un produttore esterno. Il prescelto è Sam Evian (Cass McCombs, Big Thief), noto per la sua abilità nel creare tessiture celestiali: “A Bridge To Far” si arricchisce così di arpeggi d’arpa, fiati avvolgenti, intrecci di archi e respiri di flauto che amplificano il senso di sospensione.
Un approccio già tentato nel disco precedente, ma qui più centrato grazie alla natura più trascendente delle nuove composizioni.
Il mondo sonoro dei Midlake resta saldamente ancorato al folk-rock, ma depurato da qualsiasi riferimento contemporaneo. In “A Bridge To Far” le lancette sembrano tornare indietro nel tempo, fondendo il gusto vintage delle armonizzazioni di Crosby, Stills & Nash con l’equilibrio formale dei Fleetwood Mac e persino qualche eco prog.

Fin dall’iniziale, propiziatoria “Days Gone By”, si ha la sensazione di essere trasportati su una spiaggia al tramonto, immersi in una sospensione malinconica che ritorna simbolicamente nella title track “A Bridge To Far”.
Un misticismo sottile attraversa tutto il disco e non si spegne nemmeno quando la sezione ritmica incalza in “The Ghouls” o nell’animalista “Eyes Full Of Animal”, fino alla grande architettura di tromboni e synth di “The Calling”.
Il cupo inseguimento di voci maschili e femminili in” Guardians”, con la partecipazione di Madison Cunningham, offre uno dei momenti più suggestivi dell’album, mentre il vero picco arriva con la raffinatissima “Within/ Without”, dove tra violini sognanti aleggia un vago profumo di Roxy Music piu eleganti.
Il finale, con la scarna fiaba spettrale “The Valley of Roseless Thorns”, ha l’ingrato compito di riportarci alla realtà, lasciandoci con un monito che risuona come una domanda esistenziale:

In the end, what was all of this for?
In the end, what was all of this for?

I Midlake, che di recente avevano pubblicato il doppio singolo “Roadrunner Blues” e “You Don’t Get To” con John Grant alla voce, sembrano aver ritrovato il filo perduto dopo l’uscita di Tim Smith.
“A Bridge To Far” è un tappeto volante su cui perdere il contatto con il mondo sottostante. E se un certo classicismo rock mescolato a misticismo e a una spruzzata di filosofia hippie non turba la vostra coscienza, non salire su questo ponte tra il reale e l’ineffabile sarebbe una lieve, ma imperdonabile, sottovalutazione.

16/11/2025




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