Salute

Violenza sulle donne, un prontuario per avvocati e dieci regole per i giovani dopo la legge sul consenso

La riforma che introduce il consenso libero e attuale al centro della violenza sessuale cambia il lessico del dibattito ma non le regole del processo penale: resta un reato gravissimo, con pene elevate, che si fonda su un accertamento probatorio pieno, oltre ogni ragionevole dubbio, e non su automatismi morali.

Per il difensore di un ragazzo accusato di stupro lo scenario non è la “guerra alle donne”, ma una responsabilità tecnica più alta: da un lato impedire che il nuovo testo si traduca in condanne simboliche fondate sul clima sociale; dall’altro evitare che la difesa diventi il luogo in cui si riciclano gli stereotipi di genere che la riforma prova a scardinare. Nei casi tipici di “parola contro parola” – nessuna violenza fisica evidente, nessun testimone diretto, pochi riscontri – la prima bussola è ricordare al giudice che l’elemento centrale del nuovo 609-bis non è l’idea astratta di violenza ma la prova concreta della mancanza di consenso: spetta al pubblico ministero dimostrare che l’atto è stato compiuto nonostante, o approfittando, del dissenso della persona offesa; non spetta alla difesa certificare un consenso impossibile da “dimostrare” in positivo.

Questo non autorizza il vecchio copione del massacro in aula: la persona offesa resta un teste centrale e vulnerabile, ma non è intoccabile; il difensore serio lavora su coerenza, costanza, precisione del racconto, raccordo con gli altri dati (chat, spostamenti, video), non sulla vita sessuale pregressa, sull’abbigliamento o sulle fantasie degli imputati. La linea di confine è chiara: interrogare in modo serrato sui fatti è legittimo, alludere a “ragazze facili” è già vittimizzazione secondaria e, oggi, anche un boomerang processuale che rivela l’avvocato scarso.

Nel nuovo contesto il vero terreno di scontro diventano le tracce digitali: messaggi prima e dopo, vocali, foto, geolocalizzazioni, storie social. Il difensore deve ricostruire l’intera sequenza: chi cerca chi, chi propone l’incontro, come si parla (o non si parla) di sesso, se emergono esitazioni, paure, ripensamenti. Sulla base della giurisprudenza consolidata l’attendibilità della persona offesa può reggere una condanna anche senza altri testimoni, ma richiede comunque un racconto internamente logico ed esternamente compatibile con i dati oggettivi; è lì che la difesa deve battere, non sul pregiudizio.

Allo stesso tempo è essenziale lavorare sul cliente: molti giovani imputati arrivano in studio ripetendo “era consenziente” perché confondono il “non ha detto di no” con un sì; il penalista, prima ancora di pensare alla linea processuale, deve spiegare che nel nuovo quadro il consenso è una costruzione positiva, fatta di parole, gesti, partecipazione, e che frasi da spogliatoio (“ci stava”, “se l’è cercata”) in chat o sui social non solo sono moralmente miserabili, ma diventano materiale probatorio devastante. Nella gestione del procedimento il difensore dovrà anche proteggere il processo dal cortocircuito mediatico: niente conferenze stampa identitarie, sì a interventi mirati quando la presunzione d’innocenza viene calpestata; spiegare al ragazzo che ogni post, ogni like, ogni meme sull’accaduto può trasformarsi in un indice di totale disprezzo per la libertà sessuale altrui.

Nei casi davvero opachi, poi, il garantismo non è la difesa a oltranza dell’innocenza in astratto, ma la verifica onesta dell’esistenza del ragionevole dubbio: se non c’è, ha senso discutere di riti alternativi e percorsi di responsabilizzazione invece di spingere verso processi distruttivi per tutti. Ed è proprio dalla consapevolezza processuale che nasce questo mio “prontuario” per i ragazzi: le dieci regole per non farsi accusare – in realtà, per non diventare aggressori, neppure per ignoranza.

1. Se non è un sì chiaro, è un no; una ragazza rigida, che “lascia fare”, che guarda altrove o dice “non lo so” non sta dando consenso, e la risposta corretta è fermarsi.
2. Chiedere è obbligatorio, non goffo; “ti va se ti bacio?”, “vuoi continuare?” sono la normalità, e davanti a esitazioni si chiude la partita, non si interpreta.
3. Alcol e droghe annullano il consenso; se lei è ubriaca o alterata, il rapporto è semplicemente da escludere.
4. Il sì non è un contratto irrevocabile; può dire sì a un bacio e no al resto, può spogliarsi e cambiare idea in qualsiasi momento, e dal primo “basta”, anche sussurrato, ogni insistenza diventa violenza.
5. Pressione psicologica, senso di colpa e ricatti emotivi (“dai, non fare la bambina”, “allora perché sei venuta qui?”) non sono seduzione ma strumenti di dominio; se hai bisogno di fare leva sulla sua paura o sul suo senso di colpa, sei già oltre il confine.

6. I messaggi contano più delle intenzioni dichiarate a posteriori; se il giorno dopo lei scrive che “ci è stata male”, che “non voleva davvero”, che “si è sentita costretta” o parla apertamente di violenza, il ragazzo non deve cancellare chat, minimizzare, rovesciare la colpa o, peggio, girare gli screenshot agli amici, perché così costruisce da solo il processo contro di sé; la risposta più corretta – umana e, paradossalmente, anche difensiva – è qualcosa come: “Non mi rendevo conto che ti fossi sentita così, mi dispiace sinceramente; se vuoi parlarne sono disponibile, se preferisci non sentirci più lo rispetto”, dopodiché si smette di insistere, non si cerca di convincerla che esagera, non la si minaccia se accenna alla denuncia e, se la situazione precipita, ci si rivolge a un avvocato senza aggiustamenti fai-da-te.
7. Evitare situazioni di isolamento con persone quasi sconosciute, specie dopo alcol; pensare di “portarla a casa” dopo mezz’ora di conoscenza e considerare tutto ciò che accade come scontato è un errore grave e ingenuo.
8. Il branco non attenua, aggrava; partecipare a scene in cui un gruppo preme, filma, commenta mentre una sola persona è vulnerabile significa esporsi non solo a una responsabilità morale, ma a imputazioni pesanti, quindi allontanarsi di corsa dalla scena.
9. Non esiste un diritto all’happy end, nessuna cena pagata, nessun flirt, nessuna chat esplicita genera un credito sessuale da esigere.
10. Regola di chiusura, da insegnare come una formula di procedura penale domestica: se non sei sicuro al cento per cento che lei voglia davvero, qui e ora, ti fermi.

La nuova legge sul consenso non è un complotto contro i “bravi ragazzi”, è un invito a costruire relazioni in cui libertà sessuale, responsabilità e prova processuale non siano mondi separati; chi non vuole finire in un’aula di giustizia deve cominciare da qui.


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