15mila negozi chiusi, e il centro storico perde identità
Roma si sta svuotando. Non di persone – quelle, tra residenti e turisti, non mancano – ma di vita vera. Ogni serranda che si abbassa non è solo un’insegna che sparisce: è un pezzo di città che svanisce, un altro metro quadrato di buio che avanza sulle nostre strade.
E quando questo accade migliaia di volte, il risultato è una Capitale che si sta desertificando sotto gli occhi di chi la abita ogni giorno.
Il centro storico, che dovrebbe essere il cuore pulsante di Roma, vibra ormai solo quando passano le fiumane di visitatori.
Finito il giro dei turisti, resta poco o nulla per chi qui ci vive davvero. Un ossimoro: il salotto buono della città senza più negozi, senza più gente, senza più un’identità commerciale riconoscibile.
Il presidente di Confcommercio Roma, Pier Andrea Chevallard, non gira attorno al problema: la riduzione continua delle attività è un segnale d’allarme gravissimo, che tocca non solo i cittadini ma l’immagine stessa della Capitale.
«Ma voi andreste in una grande capitale sapendo che lo shopping finisce alle 19, se non prima, e che moltissimi negozi fanno ancora la pausa pranzo?», si chiede. E come dargli torto.
Alle abitudini commerciali d’altri tempi si aggiungono tutti i limiti che chi vive a Roma conosce fin troppo bene: trasporti insufficienti, Ztl penalizzanti, parcheggi introvabili, taxi che si materializzano quando vogliono loro.
Un cocktail perfetto per spingere chiunque verso la scorciatoia più comoda — l’online — o, quando proprio si vuole vedere dal vivo ciò che si compra, verso i centri commerciali.
E addio negozio sotto casa. Addio anche alle vie del lusso: il boom degli outlet, veri o presunti, ha reso i grandi brand accessibili altrove, svuotando ulteriormente il centro di appeal.
Non che Roma offrisse chissà quali chilometri di shopping di qualità: i trecento metri di via Condotti, ormai, fanno quasi sorridere se confrontati con altre capitali europee.
Via del Babuino, un tempo elegante, oggi alterna boutique di livello a locali che sembrano usciti da un mercato improvvisato. E quando cala il buio, la strada diventa territorio quasi esclusivo dei mezzi Ama.
Confcommercio da anni propone un’Agenda urbana capace di rimettere ordine: rigenerazione dei distretti del commercio, logistica sostenibile, politiche coordinate.
Proposte puntualmente ignorate. Il risultato? Secondo Confartigianato, in cinque anni Roma ha perso circa 15 mila negozi, ai quali si aggiunge la drastica riduzione degli ambulanti.
Non servono direttive europee per indebolire il commercio romano: ci stiamo riuscendo da soli.
Intanto prosperano i settori che vivono grazie al turismo mordi e fuggi: alloggi e ristorazione crescono del 5,8%, con un +17,1% solo per i locali di somministrazione.
Gli alberghi tradizionali perdono terreno, mentre decollano le strutture alternative (+92%). Turisti che dormono, mangiano, fotografano, ma comprano pochissimo.
La desertificazione commerciale – se non fermata – rischia di trascinare con sé tutto il resto: meno negozi significa meno luce, meno presidio sociale, meno vita.
Significa più degrado, più insicurezza, più disamore. Significa una città che smette di crederci, e che smette – lentamente – anche di essere sé stessa.
Roma merita di meglio. Roma può essere meglio. Ma bisogna volerla far vivere, non solo farla visitare.
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