Cultura

Sir Petrol – Evil Design

Un pop dalle tinte fosche, attraversato da bagliori eterei, “Evil Design” di Sir Petrol si muove sul crinale fragile delle nostre insicurezze mondane. È un viaggio nell’ombra, dove ogni passo, ogni pensiero, ogni illusione di scelta si avvicina, pericolosamente, all’egemonia del nulla — quel dominio silenzioso e impalpabile che, oggi, governa la nostra epoca, dove tutto è temporaneo, inutile, superfluo, effimero. Le trame degli otto brani si intrecciano come sogni in dissolvenza: melodie pop che si frantumano in divagazioni oniriche e psichedeliche, lasciandoci a fissare un cielo di nuvole che scorrono via troppo in fretta, ridefinendo, di continuo, la forma delle cose. È come osservare la realtà da dietro un vetro opaco: le visioni cambiano, si deformano, si moltiplicano, ma dietro di esse resta solo un riflesso — la nostra immagine smarrita, un’eco senza corpo.

In questo universo sospeso, “Evil Design” diventa una sorta di mappa del disorientamento contemporaneo. I nostri affanni quotidiani — fondati sul possesso, sull’apparenza, sull’estenuante competizione — si mostrano, finalmente, per ciò che sono: catene virtuali, vincoli digitali, prigioni mediatiche. E quando le atmosfere più eteree spalancano la bocca, mostrano le loro fauci: il potere tecnologico e finanziario, sotto le sembianze di un dio invisibile, stringe le carni vive del mondo e le trascina nella sua logica perfetta, bellicosa, ostile e disumana.

Ma Sir Petrol non si limita a denunciare: lei scava. La sua musica, pur fluttuante, è piena di materia. Là dove il nulla sembra trionfare, emergono suoni più cruenti, ritmiche che si fanno incalzanti, quasi a voler lacerare il velo dell’indifferenza. In quelle ferite sonore si intravede la possibilità di un’altra verità: il dolore che riaffiora, autentico, vero, reale, non più intossicato di visioni fasulle e “instagrammabili”.

Il nulla evocato da “Evil Design” non è solo assenza, ma è una sostanza negativa, magnetica — un buco nero che tutto inghiotte, ma anche tutto rivela. È il nulla di cui parlava Heidegger, quella dimensione che ci restituisce al senso dell’essere, proprio quando l’essere sembra dissolversi e disgregarsi per sempre. È il nulla leopardiano del deserto cosmico, dove l’uomo si scopre finito e irrimediabilmente solo. È il nulla beckettiano, dove ogni gesto, anche il più inutile, diventa un modo per resistere al silenzio.

Dentro questo spazio, Sir Petrol si muove come una “cosmonauta” ferita, in bilico tra l’apocalisse e la resurrezione. Il suo è un rock moderno, disallineato rispetto allo sciatto panorama sonoro del Paese, deciso a mescolare armonie e asperità, istinto e costruzione, tecnologia e spirito. Ogni brano è una collisione tra artificio e natura, tra pulsione urbana e respiro primordiale, tra l’elettronico e il carnale. E così, mentre il mondo si smarrisce nel rumore bianco del superficiale, “Evil Design” cerca una lingua altra — una lingua del sogno, del suono e del limite. Sir Petrol oppone all’entropia del presente una musica che unisce gli estremi: l’ordine invisibile della vita e il caos della macchina, l’ombra e la luce, la caduta e il risveglio. È un disco ed è un’odissea del disincanto che tenta di trasformare il nulla in possibilità, e l’oscurità in energia creativa.


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